Il nuovo ponte di Genova

Quella per il nuovo ponte San Giorgio di Genova non era una festa, né ovviamente poteva esserlo, ma una ripartenza. La ripartenza non soltanto di una città ma dell’Italia intera perché il Morandi crollato due anni fa, alla vigilia di Ferragosto, rimane, e rimarrà per sempre, una ferita per tutto il Paese.

Adesso Genova ha un nuovo ponte: una lama di acciaio e cemento che fende la valle del Polcevera unendone le sponde, restituendo forma e vitalità al suo composito snodo autostradale. In meno di due anni si è conclusa la ricostruzione, qualcosa di eccezionale in un Paese dove di solito le opere durano decenni e, a volte, non finiscono mai. Il “modello Genova” – un inedito impasto di collaborazione istituzionale ed efficienza organizzativa – deve fare da guida per tutte le altre infrastrutture della penisola, nel pieno rispetto delle norme tecniche, a garanzia della buona costruzione, e di quelle giuridiche, a presidio dell’indispensabile legalità.

In tutto questo un grazie va di certo alle maestranze che hanno lavorato all’opera e, in particolar modo a Renzo Piano, insigne architetto capace in un breve lasso di tempo, proprio nei giorni più tristi appena successivi alla sciagura del Morandi, di regalare alla sua città una nuova idea per la realizzazione di un nuovo manufatto.

Ha ragione il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, a dire da Genova partono un monito e un messaggio. Il monito è, “mai più”; il messaggio è, ”sempre così”. I due volti del nostro Paese: l’incuria e l’impegno. Da un lato la folle ed avida corsa ad un profitto che, sovrastando qualsiasi altra considerazione, giunge a cancellare la vita umana; dall’altro la volontà di riscatto nel segno di un modo di operare che può fare scuola e, intanto, fa certamente bene al nostro morale di italiani. Soprattutto adesso, con gli strascichi del Covid-19, tutt’altro che sconfitto, e con una crisi economica e sociale senza precedenti.

Poi si arriverà, come è logico, all’accertamento giudiziario. Sarà ovviamente la magistratura a stabilire le cause di quanto è accaduto, soppesando le azioni e le omissioni che hanno accompagnato la tragica vicenda e dietro le quali c’è sempre una precisa responsabilità dell’uomo.

Molte sono le cose da chiarire, a cominciare dai costi per la manutenzione straordinaria del ponte. Secondo la Commissione ispettiva del ministero dei Trasporti, lo Stato spendeva ogni anno in media 1,3 milioni di euro, cifra scesa a meno di 25mila dopo la privatizzazione. Si dovrà quindi parlare dei controlli, di come venivano o, meglio, non venivano fatti, e dei report non veritieri sulle effettive condizioni della struttura.

Inevitabile comunque – ed è storia di queste settimane – rivedere gli assetti societari, anche se per adesso toccherà ancora ad Aspi occuparsi della gestione del nuovo ponte. In prospettiva, a parte avviare una riflessione sull’opportunità di affidare alla sola mano privata un bene a carattere monopolistico come la rete autostradale, andrà in ogni caso elaborato un nuovo modello di concessione con precise e reciproche responsabilità tra le parti, con un efficace controllo pubblico che assicuri la necessaria terzietà di chi è chiamato alla verifica.

Nuove regole, dunque, perché mai più si ripeta quanto è accaduto il 14 agosto 2018, con 43 vite spezzate in un modo tanto assurdo e crudele. Ma nuove regole anche perché in Italia si faccia sempre così: realizzando le infrastrutture necessarie in tempistiche ragionevoli nel rispetto della legalità. Una sfida irrinunciabile che mai come oggi dobbiamo avere l’ambizione di far nostra.

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