Energia nuova per l’Italia
Nei lunghi mesi della quarantena abbiamo sentito spesso ripetere il ritornello “niente sarà più come prima” riferito al dopo pandemia. Invece, passato il picco dell’emergenza, le persone sono tornate alle vecchie abitudini, come se nulla fosse successo, mentre da più parti si richiede una “ripresa” basata sulle stesse ricette che già si mostravano fallimentari prima della crisi epidemica. La lobby dei “cementari”, trasversale a quasi tutto l’arco politico, invoca “nuove infrastrutture”, gli immobiliaristi chiedono ampie deroghe per costruire nuove unità abitative, si preme per aprire nuovi centri commerciali .. insomma, tutto il campionario già visto e rivisto negli ultimi decenni, nei quali disoccupazione, povertà, ingiustizia sociale e sfascio del territorio sono costantemente cresciuti. Senza che nessuno – a parte gli ambientalisti, peraltro inascoltati – metta in dubbio questo modello di “sviluppo” evidentemente inappropriato.
Non riusciamo a renderci conto che non possiamo proseguire su questa strada, specialmente tenendo conto del monito lanciato qualche settimana fa dall’Istat, che ha evidenziato come le ricadute economiche peggiori provocate dalla pandemia esploderanno l’anno prossimo, quando è prevista una contrazione del Pil stimata in oltre otto punti percentuali.
La vera ricetta per la ripartenza, come indicato dalla stessa Unione Europea, passa dalla riconversione ecologica dell’economia, a partire dal settore energetico, che deve puntare in maniera decisa sulle energie rinnovabili, dismettendo gradualmente, ma celermente, le centrali che utilizzano i combustibili fossili, che sono la causa principale dell’effetto serra e del riscaldamento globale. Senza contare che sono quasi totalmente importati dall’estero, fattore che comporta un esborso economico notevole e una debolezza strategica intrinseca.
I vantaggi della transizione verso le rinnovabili sono dunque numerosi e importanti, anche se permangono forti resistenze da parte delle lobbies del fossile, che temono di veder sfumare i loro lauti guadagni e quindi cercano di ostacolare con ogni mezzo la riconversione energetica.
E pensare che “il nostro Paese può arrivare a emissioni nette zero di CO2 al 2040”, sostiene Greenpeace, che ha di recente presentato uno studio al riguardo.
“Abbiamo analizzato la situazione dell’Italia per quella che è – continua Greenpeace – tenendo conto del suo potenziale di energia rinnovabile, ma anche di dettagli tutt’altro che trascurabili, come la sua particolare conformazione idrogeologica e la mole dei consumi in base alla popolazione. I numeri che abbiamo tirato fuori da questo studio sono incoraggianti: abbiamo scoperto che il potenziale solare a scala industriale è di 951 GW, mentre quello eolico è di 48,5 GW. Certamente, anche in un contesto 100% rinnovabile, le proporzioni sono diverse in base alle caratteristiche del luogo: se è vero che altri Paesi europei hanno una maggiore propensione “naturale” a poter sfruttare l’eolico offshore (cioè a mare) – che ha comunque un buon potenziale anche nel nostro Paese e che nel nostro studio non viene considerato – possiamo certamente dire che non sfruttare adeguatamente l’energia solare in Italia è un puro atto di masochismo”.
In effetti, anche la canzone popolare recita che questo è il Paese del sole. Ma non sono solo canzonette: “nello scenario che abbiamo presentato – puntualizza Greenpeace – raggiungeremo il 75% di produzione di energia elettrica rinnovabile nel 2030 e il 100% nel 2040 e, in questo contesto, un ruolo importante spetterà proprio al fotovoltaico: pensate che solo sui tetti l’Italia ha un notevole potenziale, pari a circa 70 GW complessivi”.
Naturalmente, per un simile piano di riconversione e per l’installazione di un numero elevato di impianti occorrono investimenti notevoli. Come pensa Greenpeace di reperire i fondi per tutto questo? “Si tratta di spese che ad un’occhiata superficiale possono sembrare cospicue – ammette Greenpeace – ma a ben guardare non lo sono affatto. La rivoluzione energetica può avvenire a costo zero” o, per essere più precisi, dovrebbe essere in grado di autofinanziarsi, spiega l’organizzazione ambientalista: “poiché non dovremo spendere un centesimo per comprare combustibili fossili come petrolio, gas o carbone, avremo in tasca delle cifre piuttosto considerevoli: ad un aumento degli investimenti nel settore rinnovabile di 37 miliardi nel decennio 2020-2030, farà da specchio un risparmio di ben 36,5 miliardi per mancate importazioni. A questo dobbiamo aggiungere lo sviluppo di un mercato del tutto nuovo, che è quello dei combustibili “alternativi” a quelli fossili: il ventennio 2030-2050 richiederà infatti lo sviluppo di combustibili rinnovabili (idrogeno “verde”, metano rinnovabile e combustibili liquidi da elettricità rinnovabile) che il nostro modello di calcolo prevede come “importati”, ma nulla impedisce che queste risorse siano prodotte almeno in parte nel Paese, con una riconversione della produzione e un nuovo stimolo alla crescita”.
Dunque, una filiera energetica del tutto nuova, che renderebbe l’Italia indipendente dal punto di vista degli approvvigionamenti, creerebbe molti nuovi posti di lavoro in sostituzione dei pochi persi nel settore fossile, permetterebbe di riequilibrare la bilancia dell’import / export, rafforzerebbe la posizione geostrategica del Paese a livello internazionale e, non ultimo, consentirebbe di abbattere le emissioni inquinanti e a effetto serra. Naturalmente, questo porterebbe a una drastica riduzione dei faraonici guadagni dei petrolieri, ma in compenso garantirebbe una marea di vantaggi per tutti. Una prospettiva piuttosto inedita, ma senz’altro accettabile
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