Un nuovo modello energetico per la ripresa
La pandemia di COVID-19 ha avuto e ha tuttora gravi conseguenze sanitarie, ma sta provocando anche serie ricadute sull’economia, tanto che le proiezioni prevedono una flessione a livello europeo valutata oltre il 7%. Da qui l’esigenza di capire su quali strategie impostare la ripresa nel dopo pandemia perché risulti efficace e duratura, prendendo in considerazione soluzioni alternative alle ricette precedenti, che davano già segnali di inadeguatezza, per puntare su nuovi paradigmi di sviluppo, che rappresentino un effettivo progresso.
In questa ottica, un ruolo chiave è destinato a giocarlo un sistema dal nome enigmatico, il “V2G”.
Per capire di cosa si tratta, è necessario fare qualche passo indietro e partire dall’inizio, cioè dalla riconversione del comparto della produzione di energia elettrica a livello continentale.
Ormai sappiamo che l’utilizzo di combustibili fossili provoca il rilascio di gas a effetto serra che contribuiscono a surriscaldare l’atmosfera, causando i mutamenti climatici in atto. Sappiamo anche che la soluzione è una rapida transizione verso le energie rinnovabili, che consenta in tempi brevi di limitare l’uso delle fonti fossili e abbattere le relative emissioni. Ma sappiamo anche che questa riconversione non è semplice e che le energie rinnovabili, oltre a numerosi vantaggi, presentano anche alcune problematiche, prima fra tutte la discontinuità di produzione. Infatti, essendo legate a fattori climatici e atmosferici, sono per loro natura imprevedibili, o meglio non programmabili. Diventa dunque cruciale prevedere un sistema di immagazzinamento dell’energia diffuso e flessibile, in grado di gestire e calmierare i picchi di produzione e di consumo.
Una soluzione praticabile è quella che individua nelle batterie dei veicoli elettrici, in costante diffusione, una infrastruttura di stoccaggio che risponda appunto ai criteri di flessibilità e diffusione richiesti dal nuovo paradigma produttivo, ma per fare ciò è essenziale orientare già la produzione del comparto automobilistico in questo senso. Ed è esattamente ciò che si sta cercando di fare in questi giorni a livello di Unione Europea.
La UE ha varato la strategia del “Green Deal”, basata sulla rinascita dell’economia in un’ottica “verde” e di maggiore sostenibilità, il cui obiettivo finale dovrebbe essere quello di un’Europa a “impatto zero” sul clima. L’industria automobilistica, che è attualmente fra i settori con maggiore impatto ambientale, deve quindi mettere in atto una profonda riconversione, pari per ampiezza a quella necessaria nel comparto della produzione di energia.
L’emergenza sanitaria ha provocato un crollo verticale delle vendite in campo automobilistico, dove a tenere, anzi a incrementare in termini assoluti e percentuali, è stato proprio il segmento elettrico, anche se su numeri ancora contenuti. Conseguentemente, l’industria automobilistica ha chiesto un intervento di sostegno alle finanze pubbliche: in Francia, ad esempio, il governo ha annunciato un prestito di 5 milioni di euro a Renault, mentre la Germania ha previsto aiuti per 130 miliardi di euro.
Ma questa iniezione di denaro pubblico deve servire appunto a garantire una riconversione del settore, a partire proprio dalla concezione stessa di automobile, che non deve più essere vista come un mezzo di locomozione (o in certi casi uno status symbol ) individuale, ma come il tassello di un sistema integrato e condiviso sia per quanto riguarda il trasporto sia, come si diceva poc’anzi, in un’ottica di supporto a un sistema energetico sostenibile, basato sulle fonti rinnovabili..
A questo proposito, la Commissione Europea ha già chiarito che all’industria dell’auto non verrà fornito supporto incondizionato. Il Commissario Europeo Timmermans, che detiene la delega per il Clima e per il già citato Green Deal europeo, ha sollecitato il governo tedesco affinché vincoli gli aiuti di stato al proprio settore auto a una profonda riconversione verso una maggiore sostenibilità. Secondo lo stesso Timmermans, il settore è da ritenersi strategico, ma deve “adattarsi alle nuove sfide”, come appunto la transizione ai propulsori elettrici. In questo senso, il prestito francese a Renault è ampiamente giustificato dal fatto che la Casa automobilistica in questione è leader nel segmento elettrico, grazie alla piccola “Zoe”, che guida la classifica delle auto elettriche più vendute in Europa. Dal canto suo, la Commissione europea può fornire un supporto generalizzato all’implementazione della rete delle infrastrutture di ricarica. Ma è proprio a questo punto che entra in gioco la misteriosa sigla vista all’inizio, il “V2G”.
Perché in prospettiva non sarà più sufficiente prevedere delle colonnine di ricarica per veicoli elettrici che aiutino la diffusione di queste nuove motorizzazioni, ma occorrerà sfruttare l’infrastruttura nei due sensi, consentendo di utilizzare le batterie delle auto come sistema di accumulo nei momenti di picco produttivo di energia, ma anche come fonte da cui attingere nei momenti di picco dei consumi, quando magari la produzione altalenante delle rinnovabili non sarebbe in grado di fornire tutta l’elettricità richiesta. L’esempio classico è quello dell’energia solare domestica, che viene prodotta di giorno, ma in genere utilizzata la sera, quando si rientra a casa dal lavoro. Discorso analogo per l’eolico, che dipende dai capricci del vento, o per l’idroelettrico, che dipende dalle precipitazioni che garantiscono il rifornimento degli invasi.
Dal momento che i consumi, sia quelli domestici sia, a maggior ragione, quelli industriali, non possono essere vincolati alla disponibilità delle fonti primarie, diventa vitale poter contare su un sistema di accumulo che possa compensare gli squilibri. Le batterie delle auto elettr4iche, man mano che procede la loro diffusione, sono destinate a diventare una parte fondamentale del sistema, purché, appunto, funzionino nei due sensi, assorbendo e rilasciando energia a seconda delle necessità. Questo può avvenire a due condizioni: la costruzione di una rete distributiva “intelligente” – dotata cioè della tecnologia necessaria a gestire una rete di produzione e accumulo diffusa e basata su impianti di taglia medio- piccola – e la presenza di auto dotate di funzione “vehicle-2-grid” (V2G, appunto), cioè dal veicolo alla rete, per restituire parte dell’energia accumulata in precedenza.
Ne consegue che la produzione automobilistica va indirizzata fin da subito in questa direzione, in modo da poter disporre di un parco sempre più ampio di questi “accumulatori” su ruote, in grado di dialogare con la rete e modulare i flussi di entrata e/o uscita di energia. Gli investimenti nel settore vanno dunque indirizzati in questa direzione, specialmente se si tratta di finanziamenti effettuati con denaro pubblico, perché è cruciale iniziare subito a impostare il nuovo sistema di produzione-stoccaggio-distribuzione di energia in funzione delle esigenze dettate dalla produzione da rinnovabili.
Occorre creare un sistema di ricarica intelligente e standardizzato, dove tutti i dispositivi (pannelli solari, stazioni di ricarica, auto elettriche) siano in grado di comunicare tra loro, a prescindere dal marchio del produttore / costruttore. Questo scenario è già oggetto di studi: a Elaad, in Olanda, è operativo un centro ricerche che opera in tal senso, in collaborazione con altri partner europei, tra i quali per l’Italia figurano l’ ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), Terna ed Enel.
L’auto elettrica è destinata dunque a diventare parte integrante di un sistema energetico e trasportistico più sostenibile e con minori impatti sul clima, ma occorre che venga tenuta in conto la necessità di vincolare i finanziamenti erogati alla costruzione e messa in opera di infrastrutture di ricarica e veicoli già predisposti per questo tipo di scenario.
Senza dimenticare che, per costruire e gestire un sistema energetico e trasportistico totalmente differente, occorreranno anche nuove professionalità. Occorre quindi anche prevedere un altrettanto importante e diffuso piano di riqualificazione fra i lavoratori dei settori coinvolti, in modo da mettere in atto la transizione con impatti positivi sull’occupazione, sia in termini di numero di addetti, sia per quanto riguarda la professionalità acquisita.
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