Beirut

Martedì 4 agosto Beirut, capitale del Libano, è stata colpita da una tragedia di proporzioni immani. Due esplosioni a breve distanza una dall’altra, la seconda delle quali così potente da essere paragonata a una bomba atomica, hanno raso al suolo una vasta area della zona portuale e devastato l’intera città. La causa sarebbe la deflagrazione di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, sostanza utilizzata per produrre fertilizzanti, ma con un elevato potenziale esplosivo, tanto che viene adoperata anche per la fabbricazione di ordigni bellici.  Da qui le voci discordanti che parlano ora di incidente (la sostanza era stoccata al porto dal 2013, frutto di un sequestro e di successive lungaggini burocratiche che ne avevano impedito la rimozione) ora di attentato (ipotesi avanzata fra gli altri dal presidente Usa Donald Trump). A qualche giorno di distanza, le uniche certezze riguardano le proporzioni inaudite della tragedia, mentre le operazioni di soccorso sono ancora in pieno svolgimento e si cercano vittime fra le macerie, come dopo un terremoto, mentre gli ospedali sono al collasso per le migliaia di feriti che si sono riversati nelle strutture sanitarie. I morti superano il centinaio, ma il bilancio è purtroppo solo parziale e destinato con ogni probabilità a peggiorare.

Questa catastrofe colpisce un Paese già allo stremo, diviso in varie fazioni etniche e religiose che si spartiscono il potere su base clientelare, con tassi di corruzione elevatissimi. Tracciare un resoconto della complessa situazione libanese in questo frangente sarebbe troppo lungo e fuorviante, ma bastano due dati per dare l’idea della situazione generale. Il primo è politico: il sistema istituzionale libanese è basato sul confessionalismo, ovvero con la spartizione dei poteri rigidamente basata sull’appartenenza religiosa, che assegna la Presidenza della Repubblica ai cristiano maroniti, il Primo ministro ai musulmani sunniti e la presidenza del Parlamento ai musulmani sciiti. Un ordinamento unico al mondo, poco flessibile e soggetto per sua natura a veti incrociati, creazione di gruppi di potere e corruttele varie. Peraltro, questa suddivisione politica ricalca l’assetto della società libanese, a sua volta frammentata in varie fazioni etnico-religiose la cui convivenza diventa sempre più problematica, specie in virtù della crescente crisi economica che allarga le fasce di povertà.

C’è poi un dato sociale altrettanto allarmante: il Libano ha subito più di ogni altro Paese l’esodo dei siriani in fuga dalla guerra. È difficile avere numeri precisi, ma stime attendibili parlano di un milione di profughi siriani in territorio libanese. Se consideriamo che la popolazione residente è poco più di quattro milioni, significa che abbiamo un rifugiato ogni quattro abitanti, come se in Italia fossero arrivati 15 milioni di profughi, invece delle poche centinaia che già provocano sconquasso politico e fanno parlare di “invasione”.

Se tutto ciò non fosse sufficiente, basta ricordare che il Libano ha subito svariate vicende belliche, soprattutto ad opera dell’ingombrante vicino Israele, che lo considera un po’ come il “cortile di casa” e non si è fatto scrupolo di invaderlo in passato e di tenerlo costantemente sotto pressione. Dall’altro lato, nel Paese dei Cedri è forte anche la presenza di Hezbollah, il “Partito di Dio”, compagine politica sciita alleata della Siria e sostenuta dall’Iran, arcinemica di Israele, fattore che comporta una situazione di tensione costante, riflesso del conflitto strisciante che da anni oppone Tel Aviv e Teheran per la supremazia in Medio Oriente. Il rischio che questa tragedia venga strumentalizzata per innalzare ulteriormente questa tensione è tutt’altro che remoto, come dimostrano alcune dichiarazioni e accuse scambiate fra i contendenti. Qualcosa di cui il Libano non ha proprio bisogno, in un momento drammatico come questo.

Quello che serve al Paese è un forte aiuto della comunità internazionale, che in effetti si è già mossa, inviando uomini e mezzi in soccorso. Fra gli altri, vogliamo ricordare la tempestiva azione di Medici Senza Frontiere (MSF), organizzazione di aiuto umanitario già presente in Libano con vari progetti, che si è immediatamente attivata per coadiuvare i soccorsi.

Il capo missione di MSF, Emmanuel Massarat, ha sottolineato come in città si stia tuttora scavando per cercare eventuali vittime rimaste sepolte dal crollo delle proprie abitazioni, mentre il sistema ospedaliero è stato travolto dalle migliaia di feriti colpiti dalle conseguenze dell’esplosione – dai vetri in frantumi alle auto ribaltate dall’onda d’urto –  e non è assolutamente in grado di far fronte a un’emergenza di proporzioni così ampie. Per questo MSf ha provveduto a distribuire kit medici di pronto soccorso alle strutture impegnate a soccorrere i feriti.

Contemporaneamente, l’organizzazione umanitaria sta rafforzando il reparto chirurgia di uno degli ospedali coinvolti nei soccorsi, mentre sta attrezzando una clinica mobile per portare aiuto direttamente nelle zone della città che hanno subito le conseguenze peggiori dell’esplosione. Interventi cruciali nell’emergenza, che MSF ha potuto porre in atto rapidamente proprio perché già presente da tempo sul territorio con progetti umanitari a lungo termine.

L’intervento della comunità internazionale nell’emergenza è fondamentale, ma altrettanto importante sarà vigilare nel prossimo futuro affinché le responsabilità di questa tragedia vengano accertate con trasparenza e imparzialità, in modo da non dare adito a strumentalizzazioni che potrebbero avere conseguenze altrettanto devastanti per la martoriata popolazione libanese.

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