Meno parlamentari, più qualità?
Approssimandosi il referendum costituzionale, colgo l’occasione di ritrovare, dopo i mesi di chiusura per il virus, uno dei miei “guru” politici per fare con lui una riflessione. Flipot è un vecchio sindacalista cattocomunista, ottimo conoscitore e un tempo protagonista diretto della politica torinese e non. Il nostro colloquio avviene lungo corso Tazzoli (sacerdote mantovano, uno dei martiri risorgimentali di Belfiore), che corre lungo le mura del semivuoto stabilimento Fiat Mirafiori, quello che fu la manifattura più grande d’Europa. Passeggiamo là dove si dispiegava, all’aperto, una mostra su quell’insediamento produttivo: “La fabbrica della città”, le cui foto e le loro didascalie sono ormai al riparo dalle intemperie umane e climatiche, archiviate sotto un porticato, come la maggior parte della fabbrica stessa,… Riferisco quasi integralmente il nostro colloquio, traducendolo dal dialetto piemontese con cui lui si esprime quando parla di cose importanti, in quanto mi sembra utile per ragionare sulla prossima consultazione:
“Mi chiedi come voterò. Innanzitutto sono poco appassionato di numeri parlamentari e di leggi elettorali: un paese serio non cambia le regole di elezione dei suoi rappresentanti ogni così pochi anni, come è avvenuto in Italia, per pilotarle a favore di questa o di quella maggioranza, spesso facendo i conti senza l’oste. Idem per la composizione del suo Parlamento. Il numero dei parlamentari non è scritto sulla pietra, come le Tavole bibliche. Quando raggiunse questa numerosità, non c’erano né il Parlamento Europeo (con 75 italiani), né le Regioni (con quasi 900 consiglieri). Ti ricordo che oggi il diritto comunitario prevale su quello nazionale e le Regioni hanno molte competenze che in precedenza erano nazionali, entrambe queste istituzioni hanno svuotato di molte responsabilità le Camere. Poi, chiediamoci cosa ci servono queste Camere che non legiferano più. Ti ricordi una qualche legge recente, nata in Parlamento, che non sia stata solo l’approvazione di un decreto legge governativo? Il Parlamento è ormai un “fiduciaficio”: quando c’è qualcosa di importante da votare, il Governo pone la “fiducia”, perché se il suo provvedimento non passa, si va tutti a casa. Niente dibattiti, i tempi di discussione sono contingentati, niente o poche modifiche. Sono stati invertiti i ruoli tra il potere esecutivo e quello legislativo, che è ormai quasi inesistente. Meno parlamentari, meno rappresentatività di certi territori? Ma ti ricordi i nomi del deputato e del senatore eletti nel tuo collegio? Li hai mai visti qui in qualche occasione pubblica? O rammenti qualche iniziativa da loro intrapresa a favore del territorio che li ha eletti, una loro proposta concreta? Non c’è neanche più il “sano clientelismo territoriale di una volta”,… Poi, spesso i candidati non sono persone locali rappresentative, ma sono imposti dall’alto nei collegi ritenuti sicuri (vedi cosa è successo per quello che fu un ottimo segretario di partito e un mediocre sindaco, presentato ed eletto non nella sua città, ma nella più sicura terra di Peppone [sic! la responsabilità dell’affermazione è di Flipot, come tutto il resto della conversazione]. Infine, se i parlamentari fossero tipi come Togliatti, De Gasperi, Croce, Pertini, Saragat, Anselmi, Iotti, Moro, Berlinguer, La Malfa, Spadolini,… vorrei avere un parlamento di 5000 di loro. Ma, invece, dimmi il nome di un vero statista, di un uomo o di una donna che oggi sieda in Parlamento con chiara fama politica o professionale, che non sia un senatore a vita? Basta parei, adess. Lassa perde [Basta così, adesso. Lascia perdere]. Questo Paese ha bisogno di una classe politica nuova, motivata, preparata. Ci servono persone capaci, non virgulti rampanti senza né arte né parte o vecchi ripescati. Uno scossone ai ruoli consolidati e incancreniti dall’uso non disinteressato del potere, populistico, familistico o di clan, che tutti imparano subito, anche se sono appena arrivati, ci farà del bene. Tanto faranno poi un’altra legge elettorale, ma speriamo questa volta più attenta alle reali necessità della nazione, se imparano la lezione. Di Romiti e della marcia dei 40.000 di quarant’anni fa, ne parliamo un’altra volta”.
Inutile continuare a chiedergli come voterà il 20 settembre 2020 (centocinquantenario della “presa” di Roma).
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