Il distanziamento relazionale di Carmen
L’opera di Bizet, ricondotta alla sua straniante tragicità, nello spettacolo curato dalla Società Culturale “Francesco Tamagno” per l’iniziativa Cortili ad Arte a Torino.
L’idea, alla Società Culturale Artisti Lirici Torinesi “Francesco Tamagno” di Torino, che fa capo alla presidenza di Angelica Frassetto, era già venuta l’anno scorso, quando si era lanciata la prima stagione “Opera Off – L’opera dove non l’avete mai sentita”; una iniziativa che aveva lo scopo di portare l’opera lirica in spazi non convenzionali della città, in formato low cost. Al successo della La traviata di Verdi al Castello del Valentino, era seguito lo spettacolo La damnation de Carmen, che presentava un concentrato drammaturgicamente sintetizzato delle pagine più famose dell’opera, della quale non si perdeva l’essenza del tratto narrativo mettendone in luce gli aspetti più intimi, quelli che ne fanno una carneficina di sentimenti corrosi da una passione che si impossessa dell’uomo e lo conduce ad un inevitabile condanna. Sacrificando il côté folcloristico spagnoleggiante, che fa da contorno al consumarsi del dramma, si coglieva così tutta la forza tragica del capolavoro di Bizet.
Poi il mondo si è fermato e il lockdown ha frenato molte speranze ai giovani che hanno dato vita a questo progetto, partito sotto i migliori auspici e poi interrotto nel bel mezzo del suo cammino. Ma mai darsi per vinti dinanzi agli scherzi del destino. Anzi, appena possibile, ci si è riorganizzati, questa volta per riportare il teatro musicale nei cortili, nelle piazze, talvolta, come in questo caso, senza pubblico, se non quello che, dai balconi di ringhiera di un cortile torinese, ha potuto assistere allo spettacolo (della durata di circa un’ora e un quarto), mentre una diretta streaming permetteva di seguirlo da casa.
Questa volta lo spettacolo porta il titolo “Libre Carmen, libre!”, una rimodulazione di quello già proposto in precedenza, reso ancora più tragico e coinvolgente da Alberto Barbi, la cui regia, senza scenografie ma con poco più che dieci sedie poste al centro del cortile, ci ricorda che Carmen è sì opera di passione e morte, ma anche di personaggi che non possono esternare la loro violenza, si muovono in una dimensione asettica dove il distanziamento fisico è portato all’esasperazione, perché ogni corpo vive nella propria solitudine. Scelta davvero calzante, quella del regista, complice un quartetto di cantanti ben inseriti nella filosofia voluta dallo spettacolo, essenziale nei mezzi, ma ricco di idee. Ed ecco la Carmen sinuosa e sensuale di Laura Realbuto, magra, pallida, già segnata in partenza dal suo destino di morte, la Micaela di limpido lirismo di Ilaria De Santis, l’Escamillo ruvidamente impettito di Dante Muro e, soprattutto, il Don José del tenore Giuseppe Raimondo, di presenza scenica calamitante, smarrito dinanzi alla disillusione di uomo tradito e, per questo, stranito, non più in grado di ragionare. La voce, di facile espansione, vanta un timbro bellissimo, morbido e di denso calore; la capacità di modulare i suoni arriva addirittura al lusso (cosa assai rara da sentire oggi) di fargli cantare il si bemolle della romanza del fiore sfumandolo, come vuole Bizet. Un giovane di talento, da seguire con interesse. Per il resto si segnala l’essenziale apporto attoriale di Franco Prunotto come Lillas Pastia e del Coro Francesco Tamagno.
Al pianoforte il bravo Alessandro Boeri, che coordina le fila musicali di un tardo pomeriggio di musica e teatro vero, quello che coinvolge e accompagna all’imbrunire della sera, le cui ombre si stendono sul tragico finale di una Carmen colpita a rivoltellate da Don José, da lei amato, ma che ha osato limitare quella sete d’inappagata libertà che condiziona il suo essere gitano.
Finiamo con una riflessione. È possibile, si chiedono gli organizzatori della rassegna, “portare l’opera lirica fuori dai confini dei tradizionali spazi elitari? Fare ed ascoltare musica in spazi in cui cittadini/e vivono le proprie vite; costruire un itinerario di teatro musicale popolare che faccia dei nostri palazzi la sua scenografia e degli abitanti i suoi protagonisti? Trasformare angoli di quartiere in spazi aggregativi di umanità e bellezza?”. La risposta è sì e viene dai risultati di questo spettacolo.
Lascia un commento