CANDIDI COME SERPENTIIl grembiule al posto del mantello
Il tema della Riforma, o meglio della Riforma mancata attraversa le cose d’Italia. Il vescovo don Tonino Bello, Mazzolari, don Milani, Balducci e Turoldo non paiono in campo cattolico colmare la lacuna, al più testimoniano della vivacità e dell’estensione di quella che ho deciso di chiamare “teologia minore dell’impegno”. Una via italiana cioè e popolare (eminentemente associativa) che si distende nello spazio pubblico con una pratica sociale e politica ispirata alla figura del Servizio. In buona parte esorcizzando ed addomesticando costi e guasti della modernità e della secolarizzazione attraverso una virtuosa pratica del sociale e del politico. Una testimonianza di popolo in tal modo affrancata dagli stereotipi di una religiosità nazionale (in particolare meridionale) così come Ginzburg, Carlo Levi, Ernesto de Martino, Adriano Prosperi e in generale la scuola di Delio Cantimori l’hanno descritta. Al punto che in questo vasto solco il fascismo era potuto apparire (Saitta) come un ritorno alla “religione romana”: nel senso dello Stato che si fa religione. Tutti in diversa misura confluendo nel duro giudizio di Machiavelli, per il quale colpa della Chiesa è di averci resi un popolo senza religione.
Al punto che la prospettiva sembra incredibilmente rovesciarsi nel De Sanctis, secondo il quale l’Italia non segue Lutero perché Lutero era stato preceduto da Machiavelli. Eppure la presenza vaticana non cessa d’essere fastidiosamente avvertita. Dalla metà del Cinquecento la Bibbia diventa sulla Penisola un libro proibito e vero fedele è colui che afferma: “Credo quod credit Sancta Mater Ecclesia“. L’inquisizione romana non si distingue per il numero di vittime mandato alla tortura e al rogo, quanto piuttosto per l’addomesticamento dell’insofferenza dei poveri, ponendosi di fatto come guardiana degli interessi delle classi dominanti: quasi una versione bassa e guicciardiniana della religione popolare. Cosicché, sulla scia di Machiavelli, anche Jemolo può affermare che l’impronta religiosa del nostro popolo si ritrova dappertutto e in nessun luogo. Religione allora come instrumentum regni, che continua e perverte il rapporto tra religione e potere – dirà Mazzolari – “per qualche miserabile vantaggio”. Un percorso mirabilmente ricostruito da Adriano Prosperi e che don Tonino Bello affronta e cerca di ricomporre rovesciando l’ordito: il “grembiule”, appunto, al posto del mantello sontuoso o del piviale.
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