Da Cambiaso a Magnasco. Sguardi genovesi
Le famiglie più in vista della Repubblica di Genova nel Cinquecento si danno battaglia per la costruzione dei palazzi più sfarzosi della città. Doria, Spinola, Grimaldi, Lomellino, Pallavicini…
Il risultato è un trionfo di edifici di gusto rinascimentale e barocco, con facciate decorate, stucchi, marmi, saloni affrescati, giardini e fontane.
Genova è una città che può essere raccontata anche attraverso i ritratti delle persone che l’hanno vissuta: i “selfie” di un tempo, li si potrebbe definire. I ritratti rappresentano molto più di una immagine fissata su una tela: sono testi di lettura dalla fascinosa complessità che portano in sé, oltre ai caratteri dell’effigiato, anche una quantità di messaggi diretti o nascosti.
Far sfilare i ritratti nelle sale di Palazzo Grimaldi della Meridiana per una mostra una quarantina tra dogi, senatori, cardinali, capitani, condottieri, poeti, dame e bambini, moltissimi dei quali mai usciti dalla casa di chi li presta significa mettersi in ascolto dei messaggi che le loro immagini contengono. Gli stessi messaggi si fanno più complessi e più intriganti nel caso di ritratti “in veste di”, dove gli artisti sfruttano le potenzialità dell’alfabeto allegorico barocco per parlare di un Apollo che significa bellezza, di un Meleagro che interpreta il coraggio e la determinazione, di una Cleopatra che incarna ricchezza e noncuranza dei beni materiali.
Entriamo insieme, dunque, a Palazzo della Meridiana, dove è allestita la mostra “Da Cambiaso a Magnasco. Sguardi genovesi”, organizzata dall’Associazione Amici di Palazzo della Meridiana e curata da Anna Orlando, in programma fino al 11 ottobre 2020.
In esposizione ci sono quaranta tele, databili tra la metà del Cinquecento e la metà del Settecento, nella maggior parte dei casi finora mai esposte al pubblico, provenienti da collezioni private italiane.
Per la prima volta, a Genova, una mostra indaga in modo approfondito, aggiornato e trasversale, l’importante capitolo della ritrattistica a partire dalla metà del Cinquecento – dominata da un gigante della pittura come Luca Cambiaso – fino al Settecento, quando Alessandro Magnasco, Giovanni Maria delle Piane (detto il Mulinaretto) e Gio. Enrico Vaymer, danno vita ad una fascinosa alternanza di segnali di euforia e di crisi in una Repubblica di Genova ormai giunta ad una fase avanzata del suo inarrestabile declino.
I protagonisti sono Cambiaso e Magnasco, Domenico Fiasella, Giovanni Benedetto Castiglione (detto il Grechetto), Giovanni Battista Gaulli (il Baciccio), Gio. Enrico Vaymer, Domenico Piola, Gio. Bernardo Carbone, Jan Roos, Bernardo Strozzi (soprannominato il Cappuccino), Giovanni Maria delle Piane (detto il Mulinaretto); tutti interpreti di una scuola pittorica in cui l’ispirazione fiamminga si miscela a quella ligure e la commistione delle due scuole d’arte ha creato veri capolavori.
Il risultato è uno stile perfettamente connotato e caratterizzato, che fa intendere il diretto e stretto rapporto fra il committente ed il pittore, nell’epoca del mecenatismo.
Il contatto frequente e continuato fra i due ci riporta nel clima di quegli antichi atelier, a metà fra il Rinascimento e il Manierismo, che prefigura tanta modernità: il pittore e il suo cliente, e gli effigiati regalano alle tele un brandello segreto della loro anima, mentre vi vengono raffigurati per sempre, consegnati all’eternità e ad un destino immortale.
Il trasferimento dello sguardo, dal soggetto ritratto al pittore, si ripropone in tutte le sezioni della mostra:
sguardi di sé
sguardi oltre l’immagine
sguardi innocenti
sguardi di potere
sguardi di bellezza
sguardi colti ed eleganti
Il ritratto diventa, in questo periodo, un osservatorio privilegiato su un’epoca e la sua società.
Particolare e curato è l’allestimento con video, pannelli didattici, specchi e sequenze dai colori vivaci per dare ritmo, movimento e vitalità al tema; immergere e accompagnare il visitatore nelle varie sezioni.
Il ricco catalogo è stato curato da Anna Orlando e Agnese Marengo, insieme ad altri studiosi.
“Ogni opera è accompagnata da didascalie più esaustive del solito” – spiega la stessa Anna Orlando – “perché l’obiettivo mio come curatrice e di tutto lo staff che ha voluto questa mostra, innovativa rispetto a quelle passate, più tradizionali, è di accompagnare per mano il visitatore alla scoperta di ogni particolare per cogliere tutti i dettagli, dall’abbigliamento all’acconciatura, o i significati simbolici nascosti nelle immagini barocche”.
La proroga a ottobre della mostra, dopo il lungo periodo di lockdown, ha riaperto il Palazzo della Meridiana alla curiosità dei genovesi e dei turisti.
Le cinque sale espositive si trovano al piano nobile del palazzo cinquecentesco che appartenne ai Grimaldi, a pochi passi dalla Strada Nuova, e mettono in scena volti noti e importanti per la storia accanto a volti dei quali non ci è rimasta traccia.
Al palazzo si può accedere con tutte le sicurezze oggi previste: controllo del distanziamento fra i visitatori, entrate dilazionate, sanificazione periodica dei locali e prenotazioni on line.
Il libro di Paola Pettinotti – Storia di Genova dalle origini ai giorni nostri (edito da Biblioteca dell’Immagine) ci aiuta ad entrare nel clima della mostra, attraverso la storia della città ligure che fu orgogliosa repubblica marinara.
Così scrive Giuseppe Gorani nel XVIII secolo: “Di tutte le repubbliche mercantili, quella di Genova è la più invidiata, la più denigrata e la meno conosciuta“. Egli fu un avventuriero di nobili origini, nato a Milano nel 1740, naturalizzato francese, morto a Ginevra nel 1819. Durante un suo soggiorno nei territori tedeschi conobbe Immanuel Kant e diventò membro della Massoneria, alla quale fu iniziato nel 1785 nella loggia castrense prussiana del campo di Stolpen a Tilsit, come egli stesso raccontò in “Mémoires pour servir à l’histoire de ma vie”. Conobbe la realtà della Repubblica di Genova nel periodo in cui collaborò con Pasquale Paoli alla causa dell’indipendenza della Corsica da Genova.
Soprattutto nell’ultima parte l’affermazione è ancora valida oggi. Conoscere la storia di Genova ha un interesse molto più ampio: Fernand Braudel ha definito la città “il sismografo ultrasensibile di ciò che accade nel mondo”.
Incontrastata signora del mare, la storia della Superba si snoda in una rete di commerci e battaglie, crociate e arditi intrallazzi che ne fanno una delle grandi potenze medievali del Mediterraneo; poi il Cinquecento, il “secolo d’oro” dei Genovesi, grandi banchieri e splendidi palazzi.
Se molti conoscono la magniloquente descrizione datane da Petrarca: “Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica Signora del Mare“, pochi citano le parole immediatamente successive: “La sua stessa potenza, come è già accaduto a molte città, le nuoce e le reca danno, perché offre materia alle contese e alle gelosie cittadine“.
Città di mercanti e di cantautori, di eroi piccoli e grandi, splendide ville affrescate e buia umidità dei “caruggi”: in queste pagine Genova rivive in una narrazione ricca di aneddoti e curiosità, che in tono lieve fa scoprire ai Genovesi come ai “foresti” quella che a detta dello storico contemporaneo Edoardo Grendi è “una città bellissima, ma che, per una ragione o per l’altra, non si scopre mai”.
L’immersione nella Genova contemporanea mi richiama alla mente le note di un disco di Fabrizio De André, “Crêuza de mä”, del 1984, realizzato con Mauro Pagani. E’ interamente cantato in genovese, per molti secoli una delle principali lingue impiegate nell’ambito della navigazione e degli scambi commerciali nel Mediterraneo (in particolare dal Basso Medioevo al XVII secolo. Il disco è stato considerato dalla critica come una delle pietre miliari della musica degli Anni Ottanta e, in generale, della musica etnica. Al centro dei suoi testi vi sono i temi del mare e del viaggio, le passioni, anche forti, e la sofferenza altrettanto forte; questi filoni vengono espressi anche sul piano musicale, tramite il ricorso a suoni e strumenti tipici del Mediterraneo, e l’aggiunta di contenuti non musicali (come le voci dei venditori di pesce registrate al mercato ittico di piazza Cavour).
Questo lungo percorso, che attraversa la pittura, la storia e la musica, ci rende Genova più vicina a familiare: una strada da percorrere con la fantasia o in un prossimo viaggio da turisti.
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