1980 – 2020: crisi diverse, ma ricette uguali
Esiste, in Italia, una generazione di persone, che sono cresciute e maturate convinte che una normale attività lavorativa o ludica, come recarsi in banca, prendere un treno o un aereo, un caffè in un bar, ritornare a casa, visitare la propria madre,… potesse “abitualmente” trasformarsi in una tragica occasione di morte, personale o collettiva, i cui colpevoli (soprattutto i mandanti) troppo spesso sarebbero rimasti ignoti, impuniti o latitanti?
Probabilmente sì. Si tratta di uno spicchio dei cosiddetti “figli del boom economico”, quelli nati tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60: coloro i quali erano bambini quando scoprirono, dalla televisione in bianco e nero, che si poteva morire andando in banca (strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, 12 dicembre 1969) e che, ormai adulti, dalla TV a colori, scoprirono che si poteva saltare in aria, mentre si dormiva tranquillamente nel centro storico di una grande città (strage di via dei Georgofili a Firenze, 27 maggio 1993). Nel mezzo, tanti altri omicidi, singoli o di gruppo, casuali o voluti, e stragi: terrorismo rosso, stragismo fascista, mafia dei pizzini o dai colletti bianchi, matrici internazionali,…
Da questo terribile punto di vista il 1980, giusti quarant’anni orsono, non si fece mancare proprio nulla. L’iniziò fu già tragico, con l’omicidio, ad opera della mafia, di Piersanti Mattarella a Palermo (6 gennaio) e, alternando esecutori criminali di provenienze diverse, continuò drammaticamente fino a fine anno, con l’uccisione del generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi (proprio il 31dicembre). Nel mezzo una serie impressionante di vittime, ne ricordiamo alcune: Carlo Ala, sorvegliante in uno stabilimento del gruppo Fiat nei pressi di Torino (31 gennaio); Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura (12 febbraio); i magistrati Guido Galli e Mario Amato (rispettivamente il 19 marzo e il 23 giugno) e il giornalista Walter Tobagi (28 maggio). Anche le stragi del volo di linea Bologna-Palermo, sul cielo dell’isola di Ustica, e della stazione ferroviaria di Bologna furono dell’ ‘80 (27 giugno e 2 agosto).
Dal periodo di proiettili, bombe e missili così frequenti siamo (speriamo) ormai fuori, grazie allo sforzo tenace della parte migliore del Paese, che seppe dare il meglio di sé: ricordiamone alcuni fatti emblematici.
Il 6 gennaio 1980 (lo stesso giorno dell’omicidio di Mattarella) venne consacrato vescovo il gesuita torinese Carlo Maria Martini, destinato a Milano, che entrò in città il 10 febbraio e, circa un mese dopo, fu tra i primi ad accorrere all’Università Statale, poco distante dal suo Episcopio, dove era stato ucciso Guido Galli. Il famoso biblista Martini si dimostrò un grande pastore: uomo di dialogo e di cultura; intorno a lui si avviò prima una “Scuola della Parola”, frequentata soprattutto da giovani, e poi la nota “Cattedra dei non credenti”; visitò senza pregiudizi i terroristi rossi incarcerati e, il 13 giugno 1984, gli furono consegnate, in segno di resa, le armi residue dei loro compagni ancora liberi. Oltre il suo ruolo religioso, Martini seppe rapportarsi con molti e puntò sulla cultura, sui giovani e sul dialogo, per ricucire le ferite della sua città (e del Paese). Formare positivamente i giovani per creare i presupposti di un mondo migliore: l’aveva capito Giovanni Paolo II, che il 18 maggio 1980, in udienza in piazza San Pietro, ne ricevette decine di migliaia, anteprima di quelle che sarebbero poi diventate le Giornate Mondiali dei Giovani, molti dei quali, il giorno prima, si erano già radunati allo Stadio Flaminio per il Gen Fest, il raduno giovanile del Movimento dei Focolari. Quest’anno abbiamo ricordato, su queste colonne, il centenario della nascita della sua fondatrice Chiara Lubich, coetanea di Giovanni Paolo II (vedere: “Unità e fraternità in politica e non solo”, pubblicato il 10 febbraio). Infine, sempre nel 1980, ma a Danzica, nacque il sindacato Solidarnosc, intorno al quale si sviluppò, alcuni anni dopo, la Polonia libera e moderna, che oggi speriamo continui ancora sulla strada di allora (per una riflessione sul sindacato italiano e le sue differenze con quello polacco, si rimanda all’articolo: “Torino 1980: i picchetti e la marcia”, del mese scorso).
Dialogo, credibilità, cultura, giovani e lavoro: alcuni degli strumenti che ci permisero di uscire dall’inferno di quegli anni, che i bambini del boom economico, ora quasi anziani, dovrebbero continuare ad utilizzare e trasmettere alle generazioni più recenti per superare questa crisi, non più fatta di omicidi violenti per lo più impuniti, ma ugualmente dolorosa e pericolosa.
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