Da Milano un responso chiaro che apre molti interrogativi sulla politica nazionale

Dalle scorse amministrative parziali è giunto un responso chiaro e si sono aperti molti interrogativi sugli sviluppi della situazione politica. Il responso chiaro è venuto principalmente da Milano: gli elettori hanno respinto i tentativi di politicizzare ed esasperare le consultazioni amministrative, così come voluto dal presidente del Consiglio e da molti settori del centro destra, e si sono riservati di decidere al ballottaggio chi fra Pisapia e la Moratti riterranno più idoneo come prossimo sindaco.

I molti interrogativi che si aprono riguardano invece aspetti non marginali della politica nazionale e locale. In primo luogo, si pone il problema della tenuta dell’attuale maggioranza di centro destra. Una sconfitta nella città che, a torto o a ragione, è stata considerata negli ultimi 18 anni la più importante roccaforte del centro destra e il cuore politico del “berlusconismo”, costituirebbe un punto di svolta dal valore fortemente simbolico sul destino politico del premier e del movimento politico da lui fondato, il Popolo della libertà. Ciò finirebbe inevitabilmente per gettare degli interrogativi sulla coesione dell’alleanza di governo, nel suo nucleo politico, l’alleanza Pdl – Lega, e nelle sue propaggini acquisite nel corso della legislatura, il gruppo dei “responsabili”.

Ma altri interrogativi scaturiti dalle urne del 15 e 16 maggio, non risparmiano neanche le forze di opposizione. A cominciare da quelle di centro sinistra. L’ottimo risultato riportato da Giuliano Pisapia a Milano e il sorprendente consenso intercettato da Luigi De Magistris a Napoli, permettono al centro sinistra di andare al ballottaggio, ma con candidati provenienti da settori della sinistra radicale o da forze di matrice giustizialista, essendo stati i candidati del Partito Democratico, eliminati alle primarie, nel capoluogo lombardo, o sconfitti al primo turno, come nella città partenopea.

Il partito guidato da Bersani, se pure sta dimostrando di essere un partito anche capace di vincere, dopo la sfilza di sconfitte che lo ha accompagnato sin dalla sua fondazione, nelle quattro maggiori città ha ottenuto un risultato solo in parte soddisfacente, a Bologna, soprattutto. Di meno a Torino dove la netta affermazione al primo turno di Piero Fassino, rilancia sulla scena nazionale uno dei più capaci dirigenti democratici, forse non adeguatamente valorizzato negli attuali assetti di vertice. Ancor meno a Milano, dove comunque aggancia il Pdl come primo partito, perché in caso di una probabile vittoria si troverà un sindaco espressione di Sinistra e libertà ed una maggioranza molto composita.

Questo voto ripropone per il Pd il nodo delle alleanze e della guida della coalizione di centro sinistra. Non solo a livello nazionale, ma anche a livello locale. A Milano la guida è ormai assegnata ad un moderatissimo esponente della sinistra radicale, il quale, in caso di vittoria al ballottaggio, se vorrà costituire una giunta solida e destinata a durare per l’intero mandato, dovrà porsi il problema del riequilibrio della sua coalizione anche verso i cattolici impegnati nella società e in politica.

Infine, queste amministrative rafforzano i dubbi sulla consistenza elettorale del “terzo polo”, indebolito forse anche da una alleanza con il partito dell’on. Fini che l’elettorato dell’Udc stenta a comprendere. Il FLI cessa comunque di essere un oggetto misterioso e dimostra il suo reale valore elettorale, nelle grandi città come in provincia, persino in una delle città con l’elettorato più a destra come Latina.

Il movimento che invece riporta dati positivi in modo diffuso è quello di Grillo. Se da un lato esso dà voce ad una insopprimibile esigenza di novità e di ricambio, dall’altro, insieme all’alto numero di astensioni e alla battuta d’arresto registrata dalla Lega Nord, costituisce uno dei fattori che testimoniano la ricerca da parte dell’elettorato di soluzioni politiche nuove ad una condizione sociale ed economica che si va facendo sempre più delicata. In Particolare la Lega Nord sconta un raffreddamento delle attese sul cosiddetto “federalismo”, sul decentramento, perché nella realtà si sta traducendo solo in un taglio indiscriminato dei trasferimenti statali ai comuni, inducendoli a imporre nuove tasse a fronte di una imposizione fiscale nazionale che rimane invariata.

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