Tre aree di rischio: gli indicatori in gioco

Dopo che le Regioni avevano più volte accusato il Governo di centralizzare tutte le decisioni e avere, successivamente, contestato la facoltà, loro concessa dall’esecutivo, di poter adottare le misure restrittive con una certa autonomia in ambito locale, parlando di uno scarico di responsabilità da parte dello Stato, si doveva fare qualcosa. La via di uscita più sensata è parsa quindi l’impiego di un modello operante sulla base di dati oggettivi: in presenza di determinati livelli di rischio, derivanti dall’esame dei dati rinvenienti dai diversi territori, si adottano automaticamente le corrispondenti misure restrittive.

Introdotte con il Dpcm del 6 novembre, le tre aree: gialla, arancione e rossa, a seconda della gravità epidemiologica, accompagnate da progressive e più stringenti misure di restrizione, hanno innanzi tutto l’obiettivo di evitare un nuovo lockdown generalizzato (in verità non del tutto escluso) e di fornire un’oggettiva identificazione del rischio, calibrando le misure di restrizione sul territorio interessato, in maniera selettiva. Tutto in base all’effettivo livello di rischio rilevato, escludendo qualsiasi discrezionalità che potrebbe far pensare ad una gestione, per così dire, politica dell’emergenza.

Il modello – approvato dalla Cabina di regia Covid-19 alla quale partecipano il ministero della Salute, l’Istituto superiore di sanità e tre rappresentanti delle Regioni – si compone di ventuno indicatori scelti in modo da ricomprendere tutti gli aspetti sanitari, gestionali ed organizzativi riconducibili al contrasto al virus. Gli indicatori, presi in esame per ogni singola Regione, appartengono a tre diverse categorie: monitoraggio, accertamento diagnostico e tenuta dei servizi sanitari.

Nella prima sono valutate la capacità di raccolta dei dati e quella di tracciamento dei casi sospetti. Nel gruppo dell’accertamento diagnostico troviamo la percentuale di tamponi positivi riscontrata a livello regionale e l’intervallo di tempo tra la data di inizio dei sintomi e quella della diagnosi. Più ampia la terza serie di indicatori, focalizzata sui servizi sanitari per scongiurarne la saturazione. I fattori di cui si tiene conto sono: numero di accessi al pronto soccorso per Covid-19, tasso di occupazione dei letti in terapia intensiva, numero di casi negli ultimi 14 giorni (periodo di incubazione del virus, in base alle stime delle organizzazioni sanitarie) e, soprattutto, l’indice Rt, ovvero il numero medio di contagi prodotti da ciascuna persona infetta dopo l’applicazione delle misure di contenimento. Si considera inoltre il numero di nuovi focolai di trasmissione rilevati in una specifica area geografica o in un ristretto arco temporale. Sotto controllo infine gli accessi al pronto soccorso classificati Covid-19 o con sintomi che ad esso possono venir ricondotti, nonché i posti letto occupati nei reparti di terapia intensiva e nella struttura ospedaliera presa in esame.

Grazie a due algoritmi, si giunge a valutare il livello di rischio associato al colore dell’area. A cascata potranno quindi essere adottate, per ciascuna Regione, le corrispondenti restrizioni. Con la moltitudine di fattori in gioco, può certo accadere che una realtà, pensiamo alla Calabria, abbia un Rt più basso di altre ma al tempo stesso sconti una più debole tenuta del proprio sistema sanitario e si trovi quindi classificata a rischio più elevato.

Lecito ovviamente chiedersi se le variabili in gioco non siano troppe, rendendo meno leggibile l’esito finale della valutazione, ma va anche considerato come il contrasto al Covid-19 richieda una visione ad ampio spettro e che un’eccessiva semplificazione del modello potrebbe renderlo inadeguato.

Va evidenziato che una Regione in fascia rossa o arancione vi rimane per almeno quattordici giorni, passati i quali si riesamina la situazione. In qualunque momento si può invece passare dall’area gialla a quelle superiori e al tempo stesso possono essere individuate a livello provinciale aree a maggior rischio più ristrette.

E’ una delle attribuzioni regionali il compito di registrare questi dati a cadenza settimanale e inviarli al sistema sanitario nazionale. Più volte il Comitato tecnico scientifico (Cts), per scongiurare una sottostima dei contagi, ha invitato le Regioni a raccoglierli in modo più preciso. Questo dovrebbero fare i governatori: non alimentare polemiche di ogni genere o lanciarsi in ridicole comparsate televisive.

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