Trump vs Biden, cattiveria al potere contro empatia al governo

Avete presente quei bambini che quando finisce il giro di giostra piangono e strepitano perché non vogliono scendere? Ecco, uno di loro è attualmente alla presidenza degli Stati Uniti. E la cosa dovrebbe destare preoccupazione, pensando al fatto che per quattro anni abbiamo affidato le redini della nazione più potente del mondo a un bambino capriccioso, diventato un uomo arrogante, egocentrico e costantemente sopra le righe. Un tizio che si è sempre rifiutato di ammettere i suoi sbagli, di chiedere scusa e di riconoscere la sconfitta, esattamente come fa oggi riguardo al risultato elettorale.

Il neo eletto presidente Joe Biden è l’esatto opposto. Non tanto dal punto di vista politico, perché non è un radical di sinistra, bensì un moderato, quanto dal punto di vista personale, psicologico, verrebbe da dire antropologico. Viene da una famiglia della middle class della provincia americana ed è una persona che gli osservatori della politica statunitense definiscono empatica e resiliente.

Empatica perché riesce a entrare in sintonia col prossimo. È proprio questa dote che gli ha permesso, ancora giovanissimo, di diventare a sorpresa senatore conquistando un collegio elettorale da tempo feudo dei repubblicani. Lo ha fatto raccogliendo il voto della comunità nera, che si è sentita rappresentata da quel giovanotto bianco gentile e attento, che ascoltava i loro problemi e le loro richieste senza supponenza e senza profondersi in promesse elettorali.

Resiliente perché da sempre la sua vita, politica e ancor più personale, è costellata di inciampi e cadute che avrebbero lasciato moltissime persone in ginocchio, ma non lui, capace di rialzarsi e riprendere il cammino, metabolizzando dolori e sconfitte e uscendone più resistente, ma senza indurirsi. Una dote rara.

Poco dopo aver conquistato il Senato, ha perso l’amatissima moglie e la figlia più piccola in un incidente d’auto. A seguito della tragedia, si è trovato a dover crescere da solo i due figli maschi, motivo per il quale aveva dichiarato che, se si fosse accorto di non riuscire a conciliare i due impegni di padre e senatore, avrebbe dato le dimissioni, sostenendo che sarebbe stato senz’altro possibile trovare qualche altro bravo senatore in grado di sostituirlo, mentre i suoi figli avevano solo lui come padre. In realtà, è poi riuscito a tenere insieme le due cose, facendo tutti i giorni il pendolare in treno fra la sua casa a Wilmington, Delaware, e il Campidoglio di Washington.

Nella sua lunga carriera politica ha commesso molti sbagli, ma ha sempre avuto il coraggio di ammetterli, chiedere scusa e ricominciare. Lentamente, si è fatto apprezzare nel partito e, pur senza essere particolarmente carismatico, ha scalato le gerarchie grazie alla sua competenza e autorevolezza, fino ad approdare alla vicepresidenza con Obama, giovane leader che necessitava della sua esperienza di politico di lungo corso e uomo-macchina del Partito Democratico.

Come ogni vicepresidente, avrebbe potuto essere il candidato ideale alla successione dopo i due mandati di Obama. Ma un altro dramma ha interrotto il suo cammino, con la morte del primogenito, stroncato da un cancro al cervello. A quel punto Biden poteva sembrare finito, perlomeno dal punto di vista politico. Invece, ancora una volta ha saputo rialzarsi, emergere lentamente fra la schiera dei candidati alle primarie e conquistare la Casa Bianca, degno coronamento di una carriera politica lunga e proficua.

Nel frattempo, al suo posto, i Democratici avevano schierato Hillary Clinton nella sfida contro Donald Trump nel 2016, con il risultato che conosciamo: Trump è riuscito a vincere con una campagna elettorale costantemente sopra le righe, fatta di arroganza, messaggi di odio, bugie, insulti e quanto di peggio si fosse visto nella corsa alla Casa Bianca.

E ha subito fatto capire cosa sarebbe stata la sua presidenza. Oggi pochi lo ricordano, ma all’epoca qualcuno fece notare che, in occasione del giuramento di Trump, la folla radunata a Washington era decisamente inferiore rispetto a quella presente alla cerimonia con Obama. Immediatamente, Trump e il suo staff contestarono questa realtà oggettiva documentata dalle foto aeree, rivendicando un pretestuoso diritto a esporre la propria versione come “fatti alternativi”, una nuova categoria della (dis)informazione, forse la consacrazione definitiva dell’era alienata e alienante della post-verità, quella in cui ognuno si racconta la verità che gli fa comodo e poi ci crede, a prescindere dall’oggettività dei fatti.

Una follia, dal punto di vista della logica e del buon senso, ma sulla quale noi italiani eravamo già avanti da tempo, grazie all’era “berlusconiana”, nella quale il dominus di Forza Italia e Mediaset ha sostenuto per anni di essere “perseguitato” dalla “magistratura comunista”, quando invece aveva semplicemente commesso  un elevato numero di reati finanziari. Senza contare le altre sparate di varia natura e l’inettitudine dei suoi governi, che hanno fortemente determinato il declino del Belpaese.

Nonostante ciò, il potere di Berlusconi è durato un ventennio, come quello fascista. Forse il tempo fisiologico che gli italiani impiegano per capire che devono liberarsi del tiranno. Agli statunitensi sono bastati quattro anni per rendersi conto che Trump li stava portando alla rovina.

La sua non era l’America First, l’America per prima, millantata in vari contesti, ma piuttosto l’America sola, isolata dal contesto internazionale e in conflitto con tutti, come il suo presidente, perennemente in lite con leader stranieri, sistema mediatico e chiunque osasse contraddirlo.

Da quel momento, Trump ha operato in primo luogo per distruggere quanto aveva fatto il suo predecessore Obama per stemperare i conflitti, rinnegando gli accordi con Iran e Cuba. Ha innalzato la tensione con Corea del Nord e Cina, ha provocato la recrudescenza del conflitto israelo-palestinese spostando l’Ambasciata USA a Gerusalemme e riconoscendola come capitale al posto di Tel Aviv.

Ha disconosciuto gli Accordi sul Clima di Parigi, ha portato gli Stati Uniti fuori dall’UNESCO e soprattutto dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio nel pieno della pandemia Covid-19, che peraltro non ha mai voluto riconoscere come problema sanitario. Insomma, ha fatto crescere ovunque tensioni, scontri e conflitti. Anche all’interno del suo Paese, dove ha smaccatamente preso le parti delle élites di potere, dei suprematisti bianchi, del peggio dell’America.    

Ma la cosa grave non è questa.

La cosa grave è che oltre 70 milioni di cittadini USA si sono riconosciuti in lui. E continuano a sostenerlo ancora oggi, dopo che si è visto chiaramente cosa ha fatto e come è fatto, anzi proprio per quello. Anche adesso che ha perso le elezioni e dice di averle vinte, denunciando brogli inesistenti e considerando illegittimi i voti di Biden, perché considera legittimi solo i suoi. Raccontando la “verità alternativa” che gli fa comodo, appunto, a dispetto della realtà. E raccogliendo milioni di consensi.

Chi scrive non sa spiegarsi per quale motivo i poveri, le vittime, le donne si identifichino con – e votino per – i ricchi, i carnefici, gli stupratori. Bisogna chiederlo a qualcuno che si intenda dei meccanismi della psiche umana, un sociologo più che un politologo, o forse direttamente uno psichiatra.

Ma una cosa è certa. Questo è un meccanismo che va oltre la politica. Non c’entrano Destra e Sinistra, o comunque solo in parte. Qui si tratta di qualcosa di più profondo, antropologico e biologico.

C’è purtroppo un numero enorme di individui convinti che esista solo il rapporto predatore-preda, per cui puoi sopravvivere solo se sbrani qualcun altro. Gente che pensa di poter stare bene solo se necessariamente qualcun altro sta male, convinta che se concedi qualcosa a qualcuno – diritti, risorse, possibilità di sopravvivenza o di una vita migliore – automaticamente hai tolto qualcosa a loro. Per questo non gli basta vivere bene, o discretamente. Hanno proprio bisogno che qualcun altro stia male, sia esso una minoranza, un’altra etnia, i migranti, le classi sociali più basse o magari le donne, non ha importanza. L’importante è dominare, schiacciare, perseguitare.

Gli individui di questo tipo sono purtroppo numerosi, tant’è che alle volte diventano maggioranza, ed eleggono uno come Trump, considerandolo il loro alfiere. Per fortuna, in questo caso l’anomalia è durata solo quattro anni, anche perché, se fosse stato rieletto, probabilmente Trump avrebbe modificato il sistema in modo da superare il limite dei due mandati, diventando presidente a vita e trasformando gli USA in un impero a tutti gli effetti.

Ma il rischio è sempre in agguato, se non riusciamo a evolvere oltre la bestia che è in noi. Eppure la Natura stessa ci dice che in realtà gli ecosistemi sono basati molto di più sulla simbiosi, sulla cooperazione, sullo scambio reciproco. Certo, i predatori esistono. Ma sono e devono restare minoranza, altrimenti il sistema collassa. Una parte degli americani lo ha capito e ha scelto Joe Biden, empatico e resiliente, per raddrizzare quella barca alla deriva che era diventato il Paese “più potente del mondo”.

Ma anche l’uomo “più potente del mondo” non basta a rimettere in sesto un Pianeta sull’orlo del collasso sistemico. Dobbiamo darci da fare tutti. E in fretta.

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