OGM, arriva il test per individuare anche quelli di nuova generazione

Anche se oggi è passata in secondo piano, la battaglia sugli OGM, gli Organismi Geneticamente Modificati, è tuttora in corso. Chi li produce e ne detiene i brevetti continua a cercare sotterfugi per inserirli sottobanco nei mercati mondiali, mentre chi li considera qualcosa di innaturale e potenzialmente rischioso preme per la loro regolamentazione.

Attualmente, questa seconda linea di condotta è riuscita a prevalere almeno in Europa. La normativa UE prevede che gli OGM vadano sottoposti a valutazione del rischio, tracciabilità ed etichettatura , mentre nel nostro Paese è vietata la loro coltivazione.

Tuttavia, esiste ancora il rischio di infiltrazione di prodotti, o per meglio dire organismi, sviluppati con la tecnica dell’ editing genetico. Di cosa si tratta? È possibile individuarli prima che entrino in commercio?

Prima di rispondere alla seconda domanda occorre spiegare la differenza fra gli OGM per così dire “classici” e la nuova generazione di organismi ottenuti tramite “editing genetico”.

Gli organismi geneticamente modificati sono organismi viventi il cui patrimonio genetico viene modificato con tecniche di manipolazione del DNA aggiungendo, eliminando o modificando elementi genici. Sperimentati a partire dall’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, furono immediatamente oggetto della preoccupazione del mondo scientifico che, comprendendo la portata rivoluzionaria e i possibili rischi di tali manipolazioni, pubblicò immediatamente delle severe linee guida per la prosecuzione di questi esperimenti.

Nonostante ciò, ben presto gli OGM uscirono dai laboratori di biotecnologia e arrivarono sui terreni agricoli, diventando prodotti  coltivati con sistemi e in quantità industriali nei Paesi dove è consentito seminare organismi transgenici, salvo poi essere esportati ovunque nel mondo, anche dove questo tipo di colture è vietato in campo aperto.

Per penetrare tutti i mercati e legalizzare gli OGM anche dove oggi sono banditi, si è provato a far passare come naturali e non-OGM i prodotti ottenuti con la nuova tecnica dell’editing genetico, che consiste nel modificare in modo per così dire “chirurgico” tratti specifici del DNA dell’organismo ingegnerizzato, senza ricorrere all’inserimento di materiale genetico estraneo come avveniva in precedenza.

Secondo i sostenitori di questa nuova tecnologia, dal momento che si interviene solo sul DNA dell’organismo in questione, non ci sarebbero gli estremi per definire il risultato come Organismo Geneticamente Modificato, quindi la sua coltivazione, produzione e commercializzazione dovrebbero essere libere, senza restrizioni o etichettature specifiche. Ma c’è chi si oppone a questa tesi, sostenendo che, nel momento in cui si va a manipolare anche solo un segmento del DNA di un organismo, si compie comunque un atto di ingegneria genetica, le cui conseguenze non è detto che siano circoscrivibili solo ai singoli geni mutati, ma potrebbero avere ripercussioni sul funzionamento delle cellule nella loro interezza, dunque anche sull’organismo che di tali cellule è composto.

Per capirci, se si modifica un vegetale per renderlo, per esempio, più resistente al freddo inibendo o rafforzando la produzione di un dato enzima, non è certo automatico che l’organismo modificato produca anche tossine, ma non è possibile escluderlo con certezza, motivo per cui il principio di precauzione consiglierebbe di evitarne la commercializzazione. Un conto è, infatti, continuare a sperimentare sulle possibilità offerte dall’ingegneria genetica di creare farmaci in laboratori chiusi, come nel caso dell’insulina, ma ben altro è coltivare interi latifondi con soia e mais transgenico per la vendita diretta o per ottenere migliaia di tonnellate di mangime a basso costo con cui ingrassare animali da macello la cui carne viene poi commercializzata ovunque.

Ora, dal momento che per qualcuno i prodotti dell’editing genetico non incorrono nell’obbligo di segnalazione ed etichettatura, c’è la necessità di analizzare le derrate immesse o da immettere sul mercato in modo da individuare quelle ottenute con questa tecnica, in modo da consentire una scelta consapevole a importatori, grossisti, dettaglianti e consumatori finali.

Da oggi la tecnica per individuare i prodotti derivanti da editing genetico esiste. È stata messa a punto dal dottor John Fagan, un esperto di OGM che attualmente dirige l’Health Research Institute (HRI Labs), un laboratorio indipendente con sede negli Stati Uniti che fa ricerca scientifica senza scopo di lucro. La ricerca è stata finanziata da Greenpeace insieme a un gruppo di ONG e associazioni impegnate sul tema degli OGM di Europa, Nuova Zelanda e Stati Uniti, insieme a un’azienda europea della Grande Distribuzione Organizzata (GDO).

La tecnica di individuazione è a libero accesso, dunque fruibile da tutti i laboratori che vogliano utilizzarla per individuare i prodotti ottenuti tramite editing genetico, tra l’altro smentendo le affermazioni dell’industria del biotecnologico e di alcuni enti di controllo, secondo cui tali organismi erano virtualmente indistinguibili da quelli di origine naturale, quindi non rientravano nelle limitazioni imposte agli OGM. La messa a punto del sistema di identificazione dimostra l’esatto contrario, dunque la necessità di regolamentare anche questa “nuova generazione” di OGM.

Grazie a questo test, afferma Greenpeace, fra i sostenitori del progetto “ora è possibile rilevare in laboratorio una colza OGM resistente agli erbicidi che è stata sviluppata tramite editing genetico: una scoperta che consente ai Paesi Ue di effettuare controlli in modo che questa coltura OGM, non autorizzata al commercio in Europa secondo la normativa vigente, non entri illegalmente nelle filiere alimentari e mangimistiche. Fino ad ora, i Paesi membri non avevano modo di verificare la presenza di questa colza OGM, coltivata in alcune parti degli Stati Uniti e del Canada, tra quella importata. Il metodo è altamente sensibile e specifico e soddisfa gli standard normativi dell’Unione europea per la rilevazione degli OGM. La robustezza e l’affidabilità sono state convalidate dal laboratorio di analisi sugli OGM dell’Agenzia per l’ambiente austriaca (Umweltbundesamt)”.

Sempre secondo Greenpeace, “il nuovo metodo consentirà alle aziende alimentari, alla GDO, agli enti di certificazione e agli ispettorati nazionali per la sicurezza alimentare di verificare che i prodotti non contengano questo tipo di colza OGM, ma soprattutto dimostra che la normativa europea sugli OGM può essere applicata anche agli OGM ottenuti attraverso l’editing genetico, mantenendo così gli elevati standard di sicurezza alimentare dell’Ue”.

È stata la stessa Corte di giustizia europea a stabilire, due anni fa, che gli organismi ottenuti tramite editing genetico devono rientrare nelle norme comunitarie sugli OGM ed essere gestiti come tali, “in base – ricorda Greenpeace – al principio di precauzione sancito nei trattati istitutivi dell’Ue e alla base delle norme europee sulla sicurezza alimentare”.

Ora la palla passa alla Commissione europea e ai singoli governi nazionali che, utilizzando il nuovo metodo di individuazione, avranno la possibilità di certificare questi “nuovi OGM” e regolamentarli di conseguenza.

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