Trasporti, puntare a emissioni zero
Con l’arrivo della stagione invernale, peggiorano i livelli di inquinamento un po’ ovunque, ma in particolare nelle aree metropolitane. Per evitare sforamenti dei livelli quotidiani di emissioni inquinanti e relative sanzioni (come quella appena comminata all’Italia dall’UE) vengono dunque presi provvedimenti di limitazione del traffico – in particolare riguardo alle autovetture private diesel – che regolarmente innescano una serie di polemiche.
Il fatto è che, come sempre nel nostro Paese, la questione viene gestita con una logica emergenziale, per cui si interviene solo quando si è costretti e con provvedimenti temporanei, che lasciano il tempo che trovano. Ma dal momento che ormai tutti dovremmo aver capito che si tratta di un problema ricorrente, dovrebbe essere altrettanto chiaro che servono soluzioni strutturali: occorre puntare verso un nuovo paradigma della mobilità, che tenda a diminuire progressivamente le emissioni del parco circolante, fino a portarle a zero entro il 2040. Una necessità che, paradossalmente, è stata compresa assai meglio da una discreta parte della classe politica, piuttosto che dai cittadini, i quali sembrano preoccuparsi di moltissime cose, ma non delle sostanze tossiche che inalano a ogni respiro.
Naturalmente, non dimentichiamo che il settore trasporti, a livello comunitario, è responsabile “solo” del 27% delle emissioni totali di gas serra e che quindi occorre agire anche in altri ambiti per ridurre le emissioni climalteranti. Un intervento apprezzabile, in questo senso, è il superbonus del 110% per gli interventi di efficientamento energetico degli edifici, che dovrebbe aiutare a ristrutturare il patrimonio edilizio in modo da renderlo meno energivoro. Ma occorrerebbe anche riconvertire più velocemente il settore energetico verso le rinnovabili, e ridisegnare la PAC, la Politica Agricola Comunitaria, in modo da supportare produzioni agricole maggiormente sostenibili dal punto di vista ambientale.
Tuttavia qui vogliamo concentrarci sul settore trasporti in quanto responsabile anche dell’emissione di sostanze nocive, quali particolato fine PM 10 e PM 2.5, monossido di carbonio e ossidi di azoto, questi ultimi in particolare emessi soprattutto dai motori diesel, motivo per cui vengono bloccati per primi e in maggior numero. Perché quando diciamo che si deve arrivare a emissioni ZERO, intendiamo dire che per prima cosa il parco circolante non deve emettere alcuna sostanza tossica o a effetto serra nella fase denominata TTW, Tank To Wheel, dal serbatoio alle ruote, salvo poi mettere in conto le emissioni per produrre l’energia necessaria al moto, quelle prese in esame dal ciclo WTT, Well To Tank, dalla sorgente al serbatoio.
Per fare questo occorre puntare in via prioritaria su un efficiente sistema di trasporto pubblico e sulla crescita della mobilità attiva e/o micro mobilità. Ma è anche indispensabile sostituire progressivamente le motorizzazioni con motore a scoppio con veicoli elettrici, nei quali la batteria prende il posto del serbatoio, l’efficienza del propulsore è almeno doppia se non tripla e dal tubo di scappamento non esce nulla, anzi non c’è nemmeno.
Per mettere in atto una traslazione di tale portata verso un paradigma radicalmente nuovo nella mobilità occorre muoversi su più fronti, in maniera graduale e decisa al tempo stesso, in modo da compiere la transizione entro il 2040, nell’arco di un ventennio. Un lasso di tempo che qualcuno giudicherà utopia, ma che è solo questione di volontà politica e consapevolezza della cittadinanza. Del resto, in un recente passato è bastato molto meno tempo perché le vetture “automobili” sostituissero quelle trainate da cavalli, o la Vespa e la 500 sostituissero le bici. Quindi anche oggi il cambiamento è possibile oltre che necessario. Il problema semmai è renderlo accettabile, agevole e infine desiderabile. In questo senso, un grosso aiuto arriva dagli incentivi messi in campo dal Governo e da alcune Regioni per “rottamare” i veicoli più obsoleti e sostituirli con vetture meno inquinanti, ma troppo spesso si permane nell’errore di includere fra questi ultimi anche i motori a scoppio di ultima generazione. Intendiamoci, i motori termici più recenti inquinano meno di quelli del secolo scorso, ma non possono competere con un propulsore elettrico né in termini di efficienza, né di costi di manutenzione, né di emissioni. Quindi, che piaccia o no, se si vuole che la pioggia di soldi spesa in incentivi abbia una reale efficacia, questi devono essere destinati solo alle auto “con la spina”, ovvero quelle che possono attaccarsi a una presa di corrente.
È il modello adottato dalla Norvegia, il Paese di gran lunga più avanzato su questo percorso, che si avvia ad avere in tempi brevi oltre la metà del parco circolante elettrificato. Altre nazioni puntano più sulle restrizioni, annunciando limitazioni progressive per i motori a scoppio, a partire dai diesel: è di poco tempo fa l’annuncio del premier britannico di voler anticipare i tempi in questo senso, vietando l’immatricolazione di nuove vetture endotermiche entro il 2030, sulla stessa linea adottata da tempo da metropoli come Parigi, Madrid, Atene e Città del Messico.
Passi importanti, ma, come si diceva prima, resta il problema delle emissioni necessarie a produrre l’energia che poi servirà a muovere i veicoli a batteria. È possibile rendere l’intero ciclo WTW, Well To Wheel, dalla sorgente alle ruote, a zero emissioni totali di gas serra entro il 2040?
Secondo un rapporto pubblicato da Climact e New Clima Institute, commissionato da Greenpeace Belgio, non solo è possibile, ma è anche fondamentale per contenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi, valore indicato dagli esperti per scongiurare o perlomeno mitigare i cambiamenti climatici.
La tabella di marcia è chiara e relativamente semplice, nel senso che i passi da compiere sono tecnicamente alla nostra portata: “l’Europa – dice Greenpeace deve alimentare i trasporti attraverso le energie rinnovabili, evitare i biocarburanti e ridurre significativamente la sua quota di emissioni di gas serra, trasformando il modo in cui le persone e le merci si muovono”. L’intervento sul settore dei trasporti, sottolinea Greenpeace, è prioritario perché “mentre le emissioni di gas a effetto serra (GHG) provenienti da altri settori hanno subito un rallentamento o un calo, le emissioni dei trasporti Ue hanno continuato a salire. Nel 2017, le emissioni legate ai trasporti sono aumentate del 28% rispetto al 1990.
Quindi, come si diceva, occorre investire nel trasporto pubblico, nella creazione di nuove infrastrutture dedicate alla mobilità ciclistica e pedonale e nell’elettrificazione del settore (a partire sempre dai mezzi pubblici), fino ad arrivare al bando totale dalle nostre città dei veicoli con motore a scoppio entro il 2040. Ma la strategia di Greenpeace guarda oltre: “bisogna anche avere il coraggio di eliminare i voli a corto raggio e di fermare tutti gli investimenti nel settore dei trasporti ad alta intensità di carbonio, come nuovi aeroporti e autostrade”.
Paradossalmente, proprio questo periodo di crisi legata alla pandemia può essere la molla per agire. In molti Paesi, case automobilistiche, compagnie aeree e di navigazione, a causa del crollo dei fatturati, prevedono licenziamenti a tappeto mentre richiedono cospicui finanziamenti pubblici per salvarsi. È dunque imperativo che tali sussidi, e tutte le misure finanziarie e normative relative al comparto trasporti, siano indirizzate verso una totale riconversione del settore, assolutamente necessaria e indifferibile
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