Perché la politica non ha più bisogno dei cattolici, la democrazia dopo il Covid-19
Tra i libri di recente pubblicazione, degno di nota è quello Fabio Pizzul, “Perché la politica non ha più bisogno dei cattolici. La democrazia dopo il Covid-19” (editore Terra Santa). Pizzul, giornalista, figlio del grande Bruno Pizzul, ex presidente dell’Azione Cattolica milanese ed oggi consigliere regionale lombardo del Pd (dopo esserne stato il candidato alla presidenza della Regione), propone per il suo libro un titolo che vorrebbe essere provocatorio, ma che, in realtà, si limita ad allinearsi ad una narrazione mainstream ben conosciuta negli ultimi 25/30 anni. Quella dell’accettazione sostanzialmente passiva dell’irrilevanza dei cattolici, quasi usata a mo’ di vezzo per essere un po’, non me ne voglia l’autore, cattolico “piacione” in grado di stare bene ovunque e di una certa freddezza verso la Democrazia Cristiana sempre presentata come un’organizzazione variamente composita che non può tornare, disconoscendo l’esistenza preordinata e come fondamenta di un pensiero, quello popolare e di una idea, quella democratico cristiana, che trascendono un’organizzazione figlia del proprio tempo.
Si tratta di un libro abbastanza tipico di un filone legato ai così detti cattolici democratici che, avendo rappresentato quella sorta di pensiero debole a sostegno di una presenza liquefatta tipica di quelli che furono i sostenitori dei “cattolici adulti” e della contaminazione tra culture politiche (che ha un vago sentore di malattia) che ha caratterizzato un gigantesco fallimento, di cui oggi patiamo i colpi di coda, che va sotto il nome di “seconda repubblica”, non suscita particolare inquietudine anche perché, se mai ha avuto un senso, oggi non lo si riesce a ritrovare.
Cos’è allora interessante da sottoporre ad una piccola analisi? In sostanza alcune risposte date da Pizzul nell’intervista rilasciata ad Antonio Sanfrancesco per “Famiglia Cristiana”, il 16 novembre, proprio sul suo testo. Innanzitutto è condivisibile ritenere che esista un’originalità nell’approccio dei cattolici alla politica che non riesce ad uniformarsi alla tendenza allo scontro perenne di oggi. Ma questa originalità non è forse indizio di una comune identità che viene prima delle declinazioni sociali e politiche nel tempo dato? L’autore non solo non considera questo ma sembra ritenere che la politica possa fare a meno dei cattolici per una questione, alla fine, di stile per questi che, non solo non si adeguano allo scontro ad oltranza, ma sembrerebbe non ne siano proprio avvezzi anche alla bisogna (perché la democrazia dovrebbe essere pure spazio di confronto duro, purché non fine a se stesso perché la posta in palio è altissima, il bene comune, la persona, il rischio della testimonianza delle proprie idee, ecc…).
L’intervistatore a questo punto inserisce correttamente un elemento centrale affermando che “la spaccatura tra “cattolici di destra” e “cattolici di sinistra” è uno schema duro a morire”. La risposta evidenzia una mancanza, già insita nella domanda, ed una non comprensione. La mancanza è evidente quella del centro che, come la narrazione antidemocristiana ha impostato da tanto tempo, col sostegno innanzitutto di tanti vecchi cattolici progressisti e conservatori, deve sempre essere o dimenticato o considerato solo come il parco buoi elettorale in mezzo a destra e sinistra che queste possono contendersi: è esattamente il pensiero e l’andazzo che ha permesso non solo lo svilimento della tradizione più originale dei cattolici in politica, quella popolare e democratico cristiana, ma anche il dilagare come un veleno pericoloso, non spacciabile come conquista del pluralismo, perché fa del messaggio evangelico una duplice ideologia, radicale, sul fronte progressista e cristianista su quello conservatore, di questa spaccatura nelle comunità ecclesiali, nella vita stessa della Chiesa.
Se volessimo inserire una breve considerazione sulla Democrazia Cristiana, potremmo dire che oltre che diga al pericolo comunista e freno a scivolamenti a destra, seppe essere, in quanto elemento equilibratore di un sistema politico e partito capace di occupare quel luogo che era il centro che dava il senso stesso al popolarismo, come ben spiegato da don Luigi Sturzo, il frangiflutti contro cui queste due pulsioni nefaste per decenni di infransero salvaguardando le comunità ecclesiali. Vanno lette bene le parole di Pizzul: “più che di spaccatura o divisione parlerei di legittimo pluralismo che la Chiesa italiana ha riconosciuto più volte. Il pluralismo non è un limite o una iattura ma una legittima diversa interpretazione della società e dell’impegno dei cattolici…”. Il pensiero espresso fa comprendere l’incomprensione con la situazione attuale: appare molto più attento alla lettura della realtà il Cardinal Gualtiero Bassetti che, in occasione dell’anno centenario dell’Appello sturziano ai “Liberi e forti” parlò dell’urgenza di sanare la frattura tra “cattolici della morale” e “cattolici del sociale” per un rinnovato protagonismo, capace di superare l’irrilevanza attuale, (che qualcuno avrà costruito, più per fallimenti che per conquiste, probabilmente), guardando proprio alla tradizione popolare nel cui filone inserire i tanti testimoni (che spesso ne vengono sfilati) da Sturzo stesso a La Pira, da Frassati a De Gasperi, da Moro a Zaccagnini, ecc…
Ma c’è un passaggio dell’intervista che fa aumentare la perplessità: “il ruolo dei cattolici non è quello di essere schierati da una parte o dall’altra ma di essere sotto le parti offrendo un contributo che possa essere condiviso in chiave costruttiva da tutti”. E’ una posizione originale questo stare sotto in politica? No di certo: nel 2018 il Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Matteo Truffelli scrisse il libro “La P maiuscola: fare politica sotto le parti” ed. Ave. Quest’ultimo libro prende le mosse dall’invito che Papa Francesco ebbe ad esprimere proprio all’AC il 30 aprile 2017: “mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la maiuscola!”. Truffelli spiega così, a pagina 122, questo stare sotto: “la prospettiva con cui guardare lo scenario sociale e civile è quello che si colloca “sotto le parti”. Non “al di sopra”, come chi giudica la realtà senza immischiarsi. Ma “sotto” … adottando come criterio regolatore del nostro impegno dentro la società quello della difesa e della promozione dei più fragili, degli ultimi”. Riemerge con evidenza un pensiero debole che sarebbe facile accostare ad un’evoluzione da cattolici democratici a cattolici consulenti che vogliono farsi andare bene a chiunque. La contrarietà a questo paradigma minimale la si può ben esprimere, andandolo a rileggere, con quel magistrale articolo dal titolo “Non a destra, non a sinistra, non al centro, ma in alto” scritto il 15 febbraio 1949 da don Primo Mazzolari, tutt’altro che lontano dal pensiero e dall’impegno democristiano. L’ultima notazione appartiene ad un passaggio legato alla pandemia che stiamo drammaticamente affrontando. La risposta parte dal senso del limite della politica, su questo sarebbe bene riandare alla lezione di un maestro come Mino Martinazzoli, e arriva a dire: “nel libro spiego che l’impegno dei cattolici non è singolo ma nasce da una vita comunitaria e che è una delle vie d’uscita per questa pandemia che ci isola e che rischia di trasformarci in individui. Da questo punto di vista, i cattolici impegnati in politica possono dare un contributo importante”. Tutto estremamente condivisibile, ma la vita comunitaria presuppone una capacità di dimora e di identità comuni che permettono la dimensione comunitaria e possono sostenere l’apertura al dialogo e al confronto, che necessita di sapere chi si è: perché allora lo “scandalo” dell’accettazione della frattura che è la negazione del contributo auspicato? Ecco, rispetto a queste posizioni il popolarismo è differente, forse, anche meno parolaio e più concreto.
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