Superbonus edilizio al 110%, paletti molto stringenti per accedervi

Tra le misure adottate dal Governo per avviare la ripartenza dopo la crisi economica causata dall’emergenza sanitaria Covid-19, un posto di rilievo ce l’ha sicuramente il “superbonus” al 110% rivolto alle ristrutturazioni edilizie mirate ad aumentare l’efficienza energetica del nostro patrimonio immobiliare. L’iniziativa ha il duplice scopo sia di far ripartire il comparto dell’edilizia, capace di creare elevati volumi di occupazione e riattivare un indotto esteso e ramificato, sia di riqualificare una enorme massa di edifici altamente inefficienti dal punto di vista energetico, fonte di uno spreco di risorse non tollerabile ulteriormente né per la nostra bilancia economica, né per le ricadute ambientali che comporta.

Il problema è ancora più evidente se confrontiamo il patrimonio immobiliare con altri due settori energivori, quello dei trasporti e quello della produzione industriale. I veicoli attuali sono decisamente più efficienti e meno inquinanti di quelli di una ventina di anni fa, anche se esistono ancora ampi margini di miglioramento, ai quali contribuirà la progressiva elettrificazione del parco circolante; quanto all’industria, dal momento che l’Italia è un Paese povero di materie prime, che devono essere importate dall’estero, il comparto è stato capace di trasformare questo limite in opportunità, diventando leader a livello europeo nell’economia circolare delle risorse e rendendo il nostro settore manifatturiero il più efficiente al mondo in termini di energia utilizzata per unità di PIL.

All’opposto, salvo limitate eccezioni, il patrimonio edilizio nel suo complesso è rimasto energeticamente inefficiente, fattore solo in parte attribuibile al fatto che gli edifici, ovviamente, hanno un ricambio molto inferiore, per esempio, a quello delle auto, perché sono costruiti per durare decenni o secoli. Tuttavia, è altrettanto vero che anche edifici di costruzione relativamente recente non sono stati edificati con criteri di elevata efficienza energetica: solo negli ultimissimi anni è diventato obbligatorio, per le nuove costruzioni, rispettare parametri che garantissero una dispersione energetica ridotta o addirittura nulla.

Pioggia di bonus, ma nessuna riduzione Imu per la pandemia.

Il superbonus al 110% ha dunque il duplice scopo di incentivare la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente per renderlo meno “energivoro” e di far ripartire il settore dell’edilizia – capace di creare numerosi posti di lavoro – senza generare ulteriore consumo di suolo con nuove edificazioni.

Vale la pena evidenziare che il settore residenziale è responsabile del 28% dei consumi energetici, due terzi dei quali per la produzione di calore, questo anche a causa del fatto che la maggior parte degli edifici appartiene alle classi energetiche più basse (F e G) che hanno una dispersione termica molto elevata e sono alimentati da impianti di riscaldamento a bassa efficienza, con consumi (ed emissioni inquinanti) elevati.

Per questo, per beneficiare del superbonus, occorre realizzare almeno uno dei due cosiddetti interventi “trainanti”, mirati proprio a ridurre le dispersioni tramite un rivestimento isolante, altrimenti noto come “cappotto termico”  e/o a migliorare l’efficienza del sistema di riscaldamento con l’adozione di tecnologie innovative, come le pompe di calore e i microcogeneratori ad alto rendimento, che producono in contemporanea calore ed elettricità, riducendo di circa il 20% il fabbisogno complessivo di energia primaria, contribuendo al risparmio in bolletta e all’abbattimento delle emissioni inquinanti.

Per avere diritto al superbonus occorre però soddisfare anche un altro criterio fondamentale, quello di ottenere un “salto” di almeno due categorie energetiche, salvo per i miglioramenti applicati a edifici già nelle due fasce più elevate, A e B, che sono già di per sé estremamente efficienti.

Va da sé che il rispetto delle condizioni e la certificazione di impianti e classi energetiche sono materia appannaggio di professionisti del settore, che devono incaricarsi di progettazione ed esecuzione dei lavori secondo le normative previste per l’erogazione del superbonus. A questo proposito, precisiamo che il provvedimento, contenuto nel recente Decreto Rilancio, ricomprende e potenzia i precedenti Ecobonus e Sismabonus, incrementandone le aliquote e prevedendo nuovamente l’opzione della cessione del credito e dello sconto immediato in fattura.

In pratica, significa che chi commissiona  il lavoro (privato o condominio che sia) può scegliere fra una duplice opzione: farsi carico dei costi, portandoli poi in detrazione nella propria dichiarazione dei redditi e ottenendo un vantaggio fiscale superiore alla spesa sostenuta in ragione appunto del 10% che, spalmato su cinque anni, equivale a un “reddito” del 2% annuo (in realtà, non un’entrata in senso stretto, bensì una diminuzione delle uscite per tasse da pagare); in alternativa, eseguire i lavori a costo zero, cedendo il diritto alla detrazione fiscale di cui sopra ad altro soggetto che si faccia carico dei costi dell’intervento, per esempio l’impresa stessa incaricata dei lavori, la quale può cederlo a sua volta a un istituto di credito in cambio di liquidità immediata.

Purtroppo, anche se non mancano gli esempi di ristrutturazioni partite grazie a questo incentivo, al momento la sua applicazione non ha ancora avuto la diffusione che si poteva auspicare vista la convenienza dell’offerta. Le ragioni sono molteplici: l’iniziativa non è ancora ben conosciuta da larga parte dell’opinione pubblica, vuoi perché scarsamente pubblicizzata, vuoi perché in periodo di pandemia l’attenzione è – giustamente, anche – rivolta altrove; i “paletti” per accedere al superbonus – intervento trainante e salto di almeno due categorie energetiche – sono molto stringenti e non applicabili da chiunque e in tutti gli edifici; oltre a ciò, ci sono tutta una serie di adempimenti collaterali che trasformano l’accesso al superbonus in una corsa a ostacoli che chi di dovere dovrebbe cercare di semplificare; lo stesso comparto edile non è ancora del tutto attrezzato per cogliere questa preziosa opportunità.

A prescindere dalla partenza un po’ rallentata e dalle difficoltà tecniche e burocratiche, è auspicabile che una fetta crescente di committenza decida di approfittare di questa possibilità, in modo da garantire una ripresa solida, sostenibile e duratura al settore edilizio, ottenendo nel contempo un miglioramento qualitativo del nostro patrimonio edilizio, che consenta una sensibile diminuzione dei consumi energetici e delle relative emissioni inquinanti.

A tal proposito, per concludere, ricordiamo che, una volta effettuato almeno uno dei due interventi trainanti, è possibile eseguire tutta una serie di altri lavori volti a elevare la classe energetica dell’edificio che, a loro volta, rientreranno a pieno titolo nel rimborso previsto dal bonus. A titolo di esempio, citiamo la coibentazione del tetto, la sostituzione degli infissi, la messa in opera di pannelli solari termici e/o fotovoltaici, l’installazione di sistemi di accumulo dell’energia elettrica autoprodotta e di prese di corrente dedicate alla ricarica di veicoli elettrici.

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