Valery Giscard d’Estaing: un grande europeista

Valery Giscard d’Estaing, scomparso nei giorni scorsi all’età di 94 anni, ha fatto della precocità il segno distintivo della sua vita. Classe 1926, a 18 anni si arruolò nella Resistenza contro i tedeschi nella Francia occupata. Appena trentenne è deputato all’Assemblea nazionale per divenire a trentatre anni sottosegretario alle Finanze e ministro a trentasei. A metà anni Sessanta è considerato uno degli astri nascenti della Quinta repubblica, sebbene con il suo piccolo gruppo centrista faccia spesso la fronda al generale De Gaulle. Nel 1974, a 48 anni – e non a caso veniva definito il Kennedy francese – approdò alla presidenza della Repubblica, battendo per una manciata di voti il socialista François Mitterrand. Sette anni più tardi, i due si ritrovarono nuovamente uno di fronte all’altro e questa volta lo sconfitto fu Giscard che, ad appena 55 anni, dovette rassegnarsi a divenire il più famoso pensionato dell’Esagono.

Tutto, dunque, all’insegna della rapidità. Una fulminea carriera, favorita da un’intelligenza politica acuta e brillante, capace di penetranti sintesi e di grandi visioni politiche. Doti accompagnate, almeno fu spesso questa la sensazione di molti suoi interlocutori, da una certa altezzosità, forse più apparente che reale, ma che, in ogni caso, finì per penalizzarlo in alcuni momenti cruciali della sua vita pubblica. Uscito dall’Eliseo continuò comunque ad essere uno dei protagonisti della politica francese, sia come parlamentare europeo sia come presidente regionale dell’Alvernia che, grazie alla sua opera, si trasformò in pochi anni in un notevole polo di attrazione turistica.

A segnare la sua presenza nell’arena politica fu soprattutto l’accesa rivalità con Jacques Chirac, per la leadership del centro-destra. E dire che almeno inizialmente tra i due le cose parevano andare per il meglio. Quando nel 1974 morì Georges Pompidou, fu Chirac ad agevolare l’ascesa di Giscard all’Eliseo, fornendogli l’appoggio di buona parte dei gollisti. Una volta presidente ricompensò il suo mentore nominandolo Primo ministro: un’intesa che però naufragò nel giro di breve tempo. Oggetto del contendere le cosiddette riforma di società, in particolare la legge sull’aborto e sul diritto di famiglia, osteggiate dalla destra gollista. In poco tempo Giscard riuscì a scontentare le forze conservatrci senza riuscire ad accattivarsi quelle progressiste. L’eterno problema di qualsiasi politica centrista: troppo per gli uni, troppo poco per gli altri.

La maggioranza si divise in due parti: i giscardiani nell’Udf e i gollisti nel Rpr, avendo entrambi come obiettivo l’Eliseo: Giscard per venirvi confermato, Chirac per conquistarlo anche a spese del presidente in carica. Nel 1981 Chirac si rivelò infatti determinante nella disfatta del rivale. Voci che iniziarono a girare nell’imminenza del ballottaggio e che riferivano come l’apparato gollista puntasse segretamente le sue carte sulla sconfitta giscardiana.

Qualcosa che Giscard scoprì – così ci rivela egli stesso nel libro “Le pouvoir et la vie”– in maniera inequivocabile con una semplice telefonata al quartier generale gollista, camuffando la voce e presentandosi come un semplice militante per avere indicazioni di voto. Dall’altro lato dell’apparecchio qualcuno gli rispose, senza mezzi termini, che bisognava sostenere Mitterrand. Non sappiamo quanto questa ricostruzione sia veritiera, di certo è molto verosimile. In ogni caso, di lì a pochi giorni quello che era stato l’enfant prodige della politica transalpina fu definitivamente battuto.

L’Europa che tanto lo divise dai gollisti – all’epoca su posizioni che oggi definiremmo sovraniste – divenne la sua ultima frontiera. Nel Parlamento di Strasburgo Giscard diede ancora sfoggio del suo talento politico divenendo uno dei padri della Costituzione europea, poi bocciata nel 2005 da Francia ed Olanda.

Un europeista, insomma, a tutto tondo: convinto ed appassionato assertore dell’integrazione del vecchio continente come veicolo di pace, di benessere e di libertà. Ed è così che ci piace ricordarlo, pensando a quel disegno di respiro sovranazionale che meglio di tutto ci racconta la sua avventura politica.

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