Cinquanta anni fa la Notte della Repubblica
Era la notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970, vigilia dell’Immacolata. Una notte che qualcuno, a posteriori, indicherà come la “Notte della Repubblica”, con la messa in atto del tentato “golpe Borghese”, dal nome del suo ideatore.
Il principe Junio Valerio Borghese, nato nel 1906, aveva aderito con convinzione al regime fascista, intraprendendo la carriera militare all’Accademia navale di Livorno e diventando ufficiale della Regia Marina. Esperto di sommergibili, era poi arrivato al comando della X MAS, la flottiglia di Motoscafi Armati Siluranti della Marina militare. Dopo l’Armistizio dell’8 Settembre 1943 aveva aderito alla RSI, la Repubblica Sociale Italiana, grottesco e tragico epilogo del regime fascista controllato dai nazisti, assumendo il ruolo di sottocapo di Stato Maggiore del governo fantoccio formalmente guidato da Mussolini.
A causa di tali trascorsi, alla fine del conflitto era stato condannato a vari anni di reclusione, ma venne liberato grazie ai benefici della cosiddetta Amnistia Togliatti, provvedimento di condono globale emanato per pacificare gli animi dopo i lunghi mesi della guerra civile. Aveva quindi aderito al MSI – Movimento Sociale Italiano, diventandone presidente onorario dal 1951 al 1953, prima di lasciarlo perché lo riteneva troppo debole, avvicinandosi all’estrema destra. Nel 1968 aveva fondato il Fronte Nazionale, che secondo i servizi segreti era già finalizzato alla sovversione dello Stato.
Arriviamo così al tentativo di golpe, organizzato a partire dal 1969 con la formazione di gruppi clandestini armati fiancheggiati da una parte significativa delle forze armate e con collegamenti all’interno di vari Ministeri.
Il piano è piuttosto articolato e dettagliato e prevede l’occupazione delle sedi della Rai e dei Ministeri dell’Interno e della Difesa, il sequestro del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e addirittura l’eliminazione fisica dell’allora capo della Polizia Angelo Vicari. È prevista anche la deportazione degli esponenti parlamentari dell’opposizione, cioè sostanzialmente quelli del Partito Comunista.
In effetti, dal punto di vista politico, il colpo di Stato è pensato proprio in funzione anticomunista ed è determinato dalla convinzione che il governo guidato dalla Democrazia Cristiana sia eccessivamente aperto nei confronti del PCI, che invece i congiurati voglio escludere totalmente dalla vita politica del Paese.
Nella notte fra il 7 e l’8 dicembre del 1970 scatta l’operazione: diverse centinaia di golpisti si riuniscono a Roma e accedono al Ministero dell’Interno, dove si riforniscono di armi e munizioni, mentre alcuni alti ufficiali militari presidiano il Ministero della Difesa. Una colonna di uomini appartenenti al Corpo Forestale dello Stato si dirige invece verso gli studi della Rai, dove Borghese prevede di leggere un proclama alla Nazione. Contemporaneamente, altre colonne militari si muovono verso Milano e altre città italiane.
Quando tutta l’organizzazione golpista sembra ormai avviata a rovesciare il Governo democraticamente eletto e a prendere possesso del Paese, lo stesso Borghese ordina di ripiegare immediatamente e annulla l’operazione. Tutto rientra nei ranghi, i golpisti si disperdono come nulla fosse e il giorno dopo l’Italia si sveglia normalmente, del tutto ignara del rischio corso dalle sue istituzioni democratiche.
Perché il colpo di Stato venne annullato?
A distanza di cinquanta anni la risposta non è chiara, così come molti altri aspetti della vicenda. Alcuni testimoni riferiscono che Borghese avrebbe annullato l’operazione subito dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata. Chi c’era all’altro capo del telefono? Non è dato sapere, esattamente come non è chiaro quale fosse il reale coinvolgimento dei Servizi segreti, delle Forze Armate e degli organi di pubblica sicurezza, a partire dall’Arma dei Carabinieri. Non è neppure del tutto chiaro il ruolo degli Stati Uniti, informati dai golpisti delle loro intenzioni e che avrebbero fornito il loro benestare, senza sognarsi minimamente di intervenire e limitandosi a porre alcune condizioni, prima fra tutte la salvaguardia dei propri cittadini presenti in Italia al momento del colpo di stato.
Le certezze sono invece pochissime. La prima riguarda il contesto internazionale: all’epoca siamo in piena Guerra Fredda, gli USA sono guidati da Nixon, repubblicano e fervente anticomunista, o perlomeno feroce avversario dell’URSS. L’Europa è lacerata in due dalla Cortina di Ferro fra Est e Ovest, mentre sul Mediterraneo si affacciano due dittature di stampo fascista, la Spagna franchista e la Grecia dove pochi anni prima un colpo di Stato aveva portato al potere una giunta militare. L’Italia, dove era presente il più grande partito comunista dell’Occidente, era evidentemente considerata terra di confine, un Paese a rischio di scivolare verso il blocco sovietico, cosa che in moltissimi cercavano di evitare, non sempre con sistemi leciti,
Altra certezza, l’inspiegabile silenzio del Governo e delle forze democratiche sulla vicenda: per quanto annullata all’ultimo, una simile mobilitazione non poteva essere passata inosservata, eppure nessuno ne fece menzione nei giorni successivi. Dovranno passare più di tre mesi prima che, nel marzo del 1971, il quotidiano di sinistra Paese Sera parlasse dell’accaduto.
Dal quel momento, parte il solito carosello che pare quasi una prassi standard nel Belpaese: depistaggi, disinformazione e soprattutto un iter giudiziario infinito, fra sentenze di primo grado, appelli e trasferimenti di sede processuale. Nel frattempo, i reati scadono, vanno in prescrizione o vengono derubricati si tende a minimizzare l’accaduto, addirittura a ridicolizzarlo, coniando l’espressione “golpe da operetta”, ignorando volutamente la gravità dell’accaduto, quando si era arrivati a un passo dal rovesciare la democrazia. Il principe Borghese, che era stato al comando degli insorti, avvisato del mandato di cattura a suo carico, era fuggito immediatamente in Spagna, dove aveva trovato asilo compiacente e dove rimase fino alla morte, nel 1974. I vari procedimenti giudiziari si protraggono fino al 29 novembre 1984, quando la Corte di Assise assolve tutti “perché il fatto non sussiste”.
Approfondimenti vari provano invece non soltanto la gravità di quanto accaduto, ma anche il coinvolgimento di entità oscure come la P2, la loggia massonica eversiva di Licio Gelli, e addirittura della mafia, come dichiarato dal testimone–chiave Tommaso Buscetta.
Nonostante ciò, a cinquanta anni da quegli avvenimenti, in un periodo in qui le forze neofasciste continuano a crescere e ad aumentare di consenso, ancora non si è fatta chiarezza sulla vicenda. Segno che, evidentemente, la nostra democrazia non ha degli anticorpi sufficientemente forti per eradicare definitivamente l’anomalia eversiva del fascismo, né per squarciare con una luce di verità la fitta oscurità che ancora avvolge quella non troppo lontana “Notte della Repubblica”.
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