Epidemie e negazionismo

Il Cholera Morbus del 1835, di cui abbiamo trattato in precedenza, ritornerà a colpire con ondate di virulenza decrescente, nel 1849, nel 1854-55, nel 1863, nel 1865-67, nel 1873, nel biennio1884-86, nel 1893 e infine fra il 1910 e il 11.

Un riferimento per lo studio dell’argomento può essere il volume di Paolo Preto, “Epidemia, paura e politica nell’Italia moderna”, Roma, Laterza, 1988.

L’uomo europeo dell’Ottocento, è razionalista ed orgoglioso dei progressi della scienza e del crescente controllo sulla natura; quando si manifesta l’epidemia di Cholera si scopre indifeso di fronte alla malattia, una malattia sconosciuta di fronte alla quale i medici del tempo sembrano impotenti.

Un dato positivo è il tasso di mortalità nella popolazione, che risulta inferiore a quello provocato dalla peste; ciononostante, non è minore la paura che si insinua fra il popolo.

Dal suo primo manifestarsi, al di fuori dall’Italia, nel 1830, e fino al 1880, il corpo medico discute e si divide a lungo tra contagionisti ed epidemisti.

Di conseguenza, tutti i governi oscillano tra provvedimenti che potremmo definire per “contagio” (quarantene e cordoni sanitari) e quelli per “epidemia” (passività e rassegnazione di fronte all’ineluttabilità dello svolgimento della malattia).

Fino al 1883, quando Koch identifica il vibrione, non vi è nessuna decisiva scoperta della medicina sulle malattie infettive.

In ogni caso, dal 1835 sino al 1911, a ogni epidemia ritornerà paura dell’avvelenatore (o untore).

L’avvocato lombardo Agostino Bassi afferma che le malattie contagiose sono provocate da microbi.

Nel libro “Del mal del segno” teorizza le sue idee (1835). Il libro finisce soffocato dalle polemiche.

Le reazioni popolari sono molto diverse, da Stato a Stato.

In Russia, Ungheria, Inghilterra, Francia e Spagna si verificano disordini ed eccidi durante la diffusione della malattia.

A Parigi nel 1832 avvengono tumulti violenti. In tutta la Francia serpeggia un odio di classe contro i ricchi e i nobili, retaggio della recente Rivoluzione del 1789. Qualcuno afferma che l’epidemia sia una invenzione della borghesia per affamare il popolo, con la complicità dei medici prezzolati per diagnosticare false patologie.

A Madrid, nel 1834, alcuni conventi vengono assaltati, con inermi frati massacrati dal popolo inferocito che li sospetta di essere “avvelenatori”.

Ovunque si diffida del medico, che cura i ricchi chiusi dentro i loro palazzi e manda i poveri a morire in ospedale e in un lazzaretto.

Il pensiero politico del tempo si spacca: i reazionari lo considerano un castigo mandato dalla Provvidenza contro i deliri progressisti europei; i liberali accusano i governi di negligenza e di malvagia diffusione della malattia.

Reazioni similari avvengono nel Regno di Sardegna.

A Genova il popolo e gli intellettuali repubblicani sono increduli, considerano il “cholera” una macchinazione del Governo sabaudo.

Viene proposto un curioso rimedio. Dopo il passaggio di un gregge di pecore per le strade di Cuneo, la mortalità è fortemente diminuita. Il proprietario degli animali, tale Giuseppe Calcagno, lo propone ai Decurioni di Genova, mettendo le sue pecore a disposizione.

A Torino la Commissione Sanitaria prende provvedimenti assai severi, ragionando come se la malattia fosse stata dichiarata “attaccaticcia”.

Nel 1835 la Città di Torino mette in atto forti misure igieniche e sanitarie, istituisce – con il contributo volontario degli esponenti dell’aristocrazia -, una fitta rete assistenziale, allerta tutti i medici a disposizione e stabilisce luoghi di “cura” e isolamento, per limitare gli esiti letali della “misteriosa contagione”.

Sempre nel 1835 si delibera un voto pubblico, ricordato dal quadro presente nella Sala Rossa del Palazzo di Città, alla Vergine Consolata, Patrona di Torino, che viene presentato in forma solenne ai piedi dell’icona taumaturgica custodita nel Santuario omonimo.

Al termine dell’epidemia l’Amministrazione torinese, grata per il patrocinio celeste, esegue immediatamente il voto: la colonna con la statua della Madonna viene innalzata ad ovest del Santuario, primo in assoluto tra i monumenti eretti a Torino in spazi pubblici.

Tra il popolo serpeggiano voci (fantasiose) di offerte di denaro al fine di avvelenare.

Un Canonico di San Giovanni (Duomo) tenta di entrare a forza nel lazzaretto per contare i malati avvelenati.

La pastorale del Vescovo, Monsignor Luigi dei Marchesi Fransoni (11 settembre 1835) ottiene un buon effetto: “E’ un pregiudizio assai dannoso credere che il colera sia un mezzo per eliminare i poveri avvelenandoli”.

Il contraddittorio fra realismo e negazionismo proseguirà nel tempo, fino ad arrivare alla epidemia covid 19.

Ad esempio, il 26 febbraio 2020, il filosofo Gorgio Agamben scrive: “L’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva”. (“L’invenzione di un’epidemia”, Quodlibet, 26 febbraio 2020).

La modernità mette a disposizione la rete del web e tutti i “social” al pensiero negazionista, che corre veloce proprio sulla rete.

Manifestazioni negazioniste si sono svolte in gran parte del mondo, con diverse connotazioni e sfaccettature (sino a ricomprendere i contrari alle vaccinazioni).

Sarà compito della storia (e anche della buona politica) giudicare e fare chiarezza su un aspetto fondamentale del presente: quale sia il confine fra difesa della salute pubblica e limitazione delle libertà individuali e collettive.

I dati forniti al 4 dicembre 2020 raccontano, purtroppo, un’altra verità: si sono ammalati 1.810.000 Italiani (di cui 1.050.000 sono guariti, 63.387 deceduti, la differenza è in cura e terapia).

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