Tempo di boschi da tutelare
Sentiamo spesso dire che in Italia, negli ultimi decenni, le superfici boschive sono aumentate, in special modo a causa dell’abbandono delle terre alte, dove i pascoli e i campi lasciati incolti dall’uomo sono stati nuovamente colonizzati dalla natura. Qualcuno ha quindi iniziato a guardare a boschi e foreste come a una possibile fonte di reddito, non soltanto per quanto riguarda la tradizionale filiera del legno, ma anche per lo sfruttamento delle biomasse per la generazione di energia, in un’ottica di implementazione delle fonti rinnovabili e di sviluppo delle comunità rurali. In pratica, si vorrebbe aumentare il numero delle centrali a biomassa, che sfruttano il potenziale calorico del legno per produrre energia elettrica, recuperando la materia prima nei boschi della zona, con un ciclo a chilometro zero.
In teoria, una strategia vincente, perché consentirebbe alle comunità di montagna, o comunque situate in zone remote, di prodursi l’energia in modo autonomo, con minore dipendenza dalla rete energetica nazionale e sensibili benefici economici e occupazionali. Ma le cose non sono così semplici, né dal punto di vista ambientale, né da quello economico, perché purtroppo c’è sempre chi cerca di trasformare un’attività produttiva in qualcosa di speculativo. La saggezza popolare ci insegna infatti che il bosco non deve essere tagliato più velocemente di quanto sia in grado di ricrescere, ma dati recenti ci dicono che stiamo facendo l’opposto: a fronte di una disponibilità annuale di circa 26 milioni di tonnellate di legname, ne bruciamo circa 52 milioni, ovvero il doppio. Un ritmo di sfruttamento evidentemente insostenibile, che rischia di compromettere una risorsa preziosa e gli equilibri ad essa collegati.
Per fortuna, una parte dei boschi nostrani è tutelata da vincolo paesaggistico, per cui le attività di taglio devono essere preventivamente autorizzate dal Ministero per i Beni e Attività Culturali e il Turismo. Un po’ meno positivo il fatto che, al contrario, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali abbia emanato lo scorso ottobre un decreto che disciplina la trasformazione di superfici boscose in terreni agricoli, come se il nostro Paese fosse ancora ricoperto di selve oscure e popolato di contadini e pastori come nel medioevo, mentre invece sarebbe stato ben più opportuno agire per bloccare l’avanzata della cementificazione che erode progressivamente le terre coltivabili. In effetti, non ha alcun senso consentire la costante trasformazione di terreni agricoli in colate di cemento e asfalto per poi cercare di rivalersi sui boschi, strappando terreno alla natura per “valorizzare” qualcosa che si ritiene evidentemente improduttivo.
In realtà non è affatto così. Diciamolo chiaramente: boschi e foreste non sono semplici cataste di legna a disposizione di motoseghe e caldaie. Si tratta di ecosistemi complessi che hanno una valenza in sé, in termini di conservazione del territorio e in qualità di serbatoi di biodiversità e fornitori di servizi ecosistemici fondamentali, primo fra tutti il sequestro di anidride carbonica dall’atmosfera. Al contrario, quando bruciamo legna riemettiamo istantaneamente quella stessa anidride carbonica che la pianta aveva assorbito e fissato nel corso di tutto il suo ciclo vitale, oltre a produrre una notevole quantità di PM2,5, il particolato sottile che riesce a penetrare in profondità nelle nostre vie aeree, favorendo malattie respiratorie e provocando un numero elevato di morti premature. In effetti, sembra esserci una correlazione diretta fra il taglio dei boschi e l’aumento di determinate patologie, comprese le epidemie che ciclicamente colpiscono vari angoli del globo e di cui l’attuale Covid-19 è l’esempio più lampante.
Non va poi dimenticato l’aspetto geomorfologico: la vegetazione è fondamentale per la salvaguardia del territorio e la prevenzione del dissesto idrogeologico, a partire dal livello delle chiome, che contribuiscono in modo determinante ad attenuare l’impatto dei fenomeni atmosferici, fino al livello delle radici, che compattano il terreno e frenano dilavamento e movimenti franosi. All’opposto, un terreno disboscato lascia correre quantità d’acqua superiori e con maggiore velocità, aumentando sensibilmente il rischio di alluvioni.
Per ridurre le probabilità di catastrofi ambientali e contenere le emissioni di anidride carbonica, occorre dunque preservare le superfici boscose, ponendo la massima attenzione a una loro gestione sostenibile, che consenta di sfruttare questa risorsa per la filiera del legno o per la produzione di energia senza intaccare irreparabilmente questi ecosistemi, fondamentali per la tutela della fauna selvatica, del territorio e, in definitiva, anche del nostro benessere.
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