Una finanziaria volenterosa in un quadro problematico

Il parlamento ha fatto appena in tempo ad approvare la legge di bilancio per evitare l’esercizio provvisorio che già si sta aprendo una nuova fase di instabilità politica. Chi nel bel mezzo di una inaudita crisi economica e pandemica si assume la responsabilità di una tale incertezza politica ha il dovere di indicare quale sia l’alternativa all’attuale governo, tenendo conto dell’impossibilità di un ricorso anticipato alle urne per evidente indisponibilità della stragrande maggioranza degli attuali parlamentari.

La manovra da circa 40 miliardi testimonia il tentativo di dare una risposta all’emergenza socioeconomica in corso in direzione della sostenibilità, del lavoro, della coesione sociale, dell’equità e dell’innovazione in sinergia con i progetti per l’utilizzo del Recovery Plan che devono essere definiti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Se nel “pacchetto lavoro” la parte emergenziale sembra prevalere su quella per lo sviluppo e la creazione di lavoro, va salutata positivamente l’introduzione, da luglio, dell’assegno universale per i figli. Mentre la proroga del superbonus 110% per le ristrutturazioni compensa, almeno in parte, la mancata riduzione della tassazione sugli immobili nel periodo dell’emergenza, anche se è accompagnata da una vera e propria pioggia di bonus e micro-bonus che rischiano di essere più d’immagine che di sostanza.

È difficile valutare quale potrà essere l’impatto concreto di questa manovra finanziaria. Il quadro generale appare caratterizzato da almeno tre grandi fattori che ne condizioneranno l’efficacia.

Il primo è l’incertezza legata a quanto potrà protrarsi ancora l’emergenza sanitaria. Ogni ulteriore aggravamento di tale emergenza si tradurrebbe inesorabilmente in danni sociali ed economici di enorme rilevanza e di sempre più ardua sostenibilità.

Il secondo fattore è costituito dalla non avvenuta definizione di una svolta nelle politiche macroeconomiche europee, nonostante l’assoluto stato di eccezionalità. Il famigerato Patto di stabilità è stato sospeso ma non ancora riformato e meno che mai abolito. Cosicché anche la pur notevole entità delle cifre mobilitate per il Recovery Plan rischia di essere indebolita nella sua efficacia da un quadro che rimane nella sostanza ragionieristico e ordoliberista, proprio mentre il resto del mondo procede in direzione opposta con politiche da tempi di guerra basate su una ingente monetizzazione del debito. Questa è la ragione che impedisce in tempi di crisi così forte di attuare insieme a quanto contenuto nella legge di bilancio, politiche fiscali espansive e politiche sociali adeguate a fronteggiare l’enormità dei bisogni. E che potrebbe costringere ad affrontare il fenomeno, cruciale per la democrazia, della caduta della classe media, con misure inappropriate come quelle previste per la povertà “cronica”. Bisogna puntare a ripristinare le condizioni di agibilità per operai, autonomi, professionisti, imprese, gestori di servizi onde evitare di finire solo per aumentare la platea degli assistiti.

Un terzo fattore, molto sottovalutato nel suo impatto concreto sulla programmazione economica, è l’effetto dell’applicazione pratica delle tecnologie in tutti gli aspetti della vita, nell’organismo umano, nel lavoro, nelle società e nelle sue conseguenze politiche e sociali. Sta vigendo una sostanziale situazione di far west. Chi dispone dei mezzi, delle tecnologie, dei saperi – pochissimi privati e poche organizzazioni e istituzioni nel mondo – agisce speditamente, molto in fretta, con conseguenze sull’intera umanità non discusse, non richieste, non votate, non deliberate da nessun organo democratico. Sono evidenti le conseguenze economiche, anche se non sono le più importanti, di un tale processo. Non possono essere pochi privati, senza alcun accordo con gli stati, a determinare quanti posti di lavoro, quali comparti, devono essere falcidiati da nuove modalità di organizzazione dell’economia. Appare non più rinviabile il tempo per una efficace mediazione politica che consenta di discernere tra ciò che va fatto perché contribuisce al bene comune, e ciò che non va consentito anche se tecnicamente realizzabile per gli effetti devastanti che può causare. Solo in questo modo l’umanità ha potuto convivere, e sopravvivere, con la tecnologia nucleare. Allo stesso modo va fatto per le “bombe atomiche” sull’economia, sulla società, sulla democrazia, sui diritti inviolabili dell’uomo e persino sulla sacralità della persona umana, rappresentate dalle tecnologie digitali, dalla bioingegneria e dalla loro applicazione congiunta.

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