Un baritono per Verdi
Voce, sensibilità espressiva e stile nel nuovo cd del baritono francese Ludovic Tézier pubblicato dalla Sony Classical
Con questo nuovissimo cd, pubblicato dalla prestigiosa etichetta Sony Classical, Ludovic Tézier si consacra baritono verdiano che per tecnica, linea di canto e consapevolezza espressiva surclassa tutti i suoi colleghi. Nessuno oggi lo eguaglia. Tézier iniziò ad avvicinare il repertorio verdiano nel 1998, quando interpretò Ford nel Falstaff a Tel Aviv. Ecco perché ha deciso di inserire il “monologo delle corna” da quest’opera in un album discografico che lo vede spaziare dal repertorio del primo Verdi, con Nabucco, Ernani e Macbeth per poi arrivare alle opere della trilogia, con Rigoletto, Il trovatore e La traviata, per finire con quelle della maturità, Un ballo in maschera, Don Carlo (vengono proposte sia la versione francese che quella italiana della morte di Rodrigo), Otello e il citato Falstaff. La mia personale esperienza di ascolto dal vivo, non solo in ruoli verdiani ma anche in quelli del belcanto italiano del primo ottocento e dell’opéra-lyrique francese, mi ha portato ad apprezzarlo in un repertorio che poco per volta è diventato suo tanto da condurlo a traguardi, come detto, tanto importanti.
Nelle note del cd stese da Bjørn Woll, Tézier offre due interessanti spunti di riflessione. Innanzitutto ribadisce che per cantare Verdi non basta unicamente la voce: “La voce è solo uno strumento e per Verdi lo strumento deve essere eccezionale. Ma, senza arte, uno strumento rimane uno strumento. La sua musica è così strettamente legata al testo, l’interprete deve portare una varietà di colori e mezzi di espressione […]. Ogni frase di Verdi ha un’idea espressiva concreta, ed è proprio questa alta tensione permanente che lo rende così difficile da cantare”. Subito dopo, il baritono francese afferma che nel suo percorso verdiano due sono stati i baritoni dai quale ha tratto esempio, Ettore Bastianini e Piero Cappuccilli. Riflettendo sulle sue parole, dopo aver ascoltato le tracce di questo cd, è facile comprendere come i luoghi comune del passato, così come quelli del presente, vadano rimeditati. Un tempo si credeva che per cantare Verdi bastasse la voce: grande, possibilmente bella e tonante.
È poi invalsa, in tempi più moderni, l’idea che i ruoli baritonali verdiani vadano giocati più sull’accento, sulla sottigliezza della frase, sulla “parola scenica”, quella adatta a cogliere in musica il senso del dramma. Ma ovviamente, come Tézier fa ben comprendere, un aspetto non esclude l’altro. Ecco perché spesso oggi, in tempi in cui gli autentici baritoni verdiani sono davvero pochi – per dirla tutta, non lo sono neanche alcuni che molti ritengono come tali – ascoltare la voce di Tézier è un toccasana; ci insegna come prima di tutto il baritono verdiano debba possedere una voce possibilmente timbrata (la sua lo è) e sostenuta da una caratura tecnica che gli permetta un dominio assoluto dell’emissione, nel canto legato e nella proiezione della voce su tutta la gamma. Se poi – aggiunge il baritono francese – non si mette l’anima in ciò che si canta, se non si comprende come Verdi usi la voce del baritono per “rivelarci il suo cuore” si approda a poco. Tranne pochissimi casi, che vengono sempre dall’estero, si citino come esempio lo spagnolo Carlos Álvarez (sul piano sia vocale che artistico) e la voce morbida e densa del promettente baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat (ancora perfettibile sul piano espressivo), il panorama dei baritoni verdiani italiani, in grado di condensare al meglio le caratteristiche sopra esposte, lascia aperti molti dubbi in quelli che vengono considerati i nomi di riferimento (ovviamente si tenga fuori dal gioco l’ormai glorioso e anziano Leo Nucci): mi riferisco ai pur validi Luca Salsi, Simone Piazzola e Massimo Cavalletti.
L’ascolto di questo cd, invece, rivela in Tézier un fuoriclasse autentico per voce, sensibilità espressiva e stile adatti al repertorio verdiano. C’è prima di tutto il dominio del legato (con fiati davvero prodigiosi nella morte di Rodrigo da Don Carlo), la nobiltà evidente in un canto morbido e anche soffice, seppure di solenne drammaticità, in Ernani e Don Carlo, pagine che fanno pensare al baritono grand seigneur di ottocentesca memoria. Si aggiunga la capacità di dominare al meglio la tessitura acuta dell’aria del Conte di Luna da Il trovatore, facendone una vera aria d’amore, ricca di introspezione e slanci. Il senso della parola e dell’accento non mancano di emergere, approfondite forse meglio che un tempo, con un fraseggio più meditato e una dizione sempre limpida. Nei suoi primi approcci a Verdi, infatti, Tézier era parso troppo composto e non sempre comunicativo. Qui si comprende come la maturità dell’artista oltre che del cantante sia oggi totale, consapevole e totalizzante. Tanto basti citare i mille colori che si ascoltano nell’aria di Jago da Otello, tutta giocata sulla parola senza che essa si stacchi dalla musica, fra canto e insinuanti sussurri, così come avviene nell’invettiva di Rigoletto, “Cortigiani, vil razza dannata”, seguita da un commosso “Miei signori”. Bei momenti sono anche il fluido cantabile di “Alla vita che t’arride” o l’attacco carico di nostalgica disillusione di “O dolcezze perdute! O memorie” da “Eri tu” di Un ballo in maschera, per non parlare della severa eleganza dell’aria di Germont da La traviata.
Tézier vince la sfida con se stesso. Si appoggia sull’organizzazione solidissima del suo canto di estrazione belcantistica e plasma questa linea sulle esigenze di un canto verdiano che richiede alla voce di più, senza tuttavia mai forzare la mano, arrivando a traguardi tanto significativi nel segno dell’equilibrio. Rifugge i portamenti e la falsa espressività che vende la vocalità baritonale a buon mercato – oggi è in uso farlo – immolandone la giustezza vocale in nome di una fedeltà al dettato verdiano seguito nei segni d’espressione spesso ricercati senza il sostegno dell’omogeneità vocale che, invece, la voce di Tézier possiede piegandosi con flessibilità ad un canto a fior di labbro evidente in un “Vieni meco, sol di rose” da Ernani che è fra i vertici esecutivi di questo magnifico cd.
Inciso ad inizio 2020, con i complessi del Teatro Comunale di Bologna e con un direttore, il francese Frédéric Chaslin, che dirige in intesa perfetta con Tézier, questo recital è la riprova, anzi la conferma definitiva, che siamo dinanzi al miglior baritono verdiano dei nostri tempi, oggi giunto, superati in cinquant’anni, al culmine della sua parabola artistica.
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