2020, non è aumento povertà ma crollo ceto medio: quali conseguenze?

In tempi “normali” l’incremento della povertà registrato dall’Istat per il 2020 avrebbe potuto essere interpretato come l’effetto di politiche economiche restrittive che col tempo erodono la coesione sociale, per insufficienza di investimenti, di welfare, di stimoli fiscali all’economia reale. É quello che è avvenuto sino al 2019. Il dato del 2020 appare invece molto diverso: in un solo colpo vengono computati tra i nuovi poveri assoluti, che raggiungono la cifra record di 5 milioni e 660 mila, un milione di persone in più ma che poveri e marginali non lo sono mai stati. In gran parte si tratta di professionisti, imprenditori, consulenti, lavoratori autonomi caduti a causa del protrarsi dell’emergenza sanitaria, che si sono aggiunti a quanti le restrizioni avevano falciato quasi subito: i lavoratori più fragili, quelli senza diritti e senza contratti. Senza dimenticare fra questi nuovi poveri la componente minorile, danneggiata non solo per la perdita di reddito della famiglia ma anche dal fatto di divenire una generazione descolarizzata, che ha perso due anni di scuola e subìto contraccolpi psicologici proprio negli anni della formazione della personalità, danni che i pedagogisti valutano gravissimi e permanenti. Questa cospicua fascia di persone, una volta che viene privata della possibilità di esercitare il proprio lavoro, o per il fallimento della propria impresa o per la repentina cancellazione di interi comparti economici, diventa ancor più vulnerabile di chi è da sempre in una condizione di povertà e ha imparato a convivere con svariate forme di assistenzialismo.

Come ha osservato la Caritas di Milano su un proprio canale social, “l’esperienza di questi mesi mostra che gli aiuti pubblici non sono in grado di raggiungere le persone più colpite dalla crisi. Stiamo assistendo a una slavina sociale che porta in basso quelli che stavano poco sopra gli ultimi. Va fermata prima che sia troppo tardi”.

La situazione sociale ed economica del Paese è dunque di massimo allarme, e pone dei seri interrogativi sul futuro, in assenza di qualsivoglia certezza riguardo ai tempi di ritorno alla normalità post-pandemica. Anzi, le parole d’ordine sono quelle di una “nuova normalità”, ovvero restrizioni che diventano permanenti a causa del fatto che dobbiamo pensare (e guai a dubitarne) di essere entrati nell’ ”era delle pandemie”: limitazioni permanenti alla libertà personale, alla mobilità, alla socialità e sorveglianza totale, in ogni ambito della vita, attraverso le svariate applicazioni dell’intelligenza artificiale.

Se negli ultimi decenni si è assistito all’aumento della povertà per una sostanziale disapplicazione della Costituzione nell’ambito dei diritti del lavoro, in futuro potrebbe non fermarsi più la tendenza – fino a un inevitabile cruento punto di rottura – che è emersa nel corso del 2020, quella di un aumento della povertà provocata dalla disapplicazione della Costituzione nella sua parte fondamentale, quella relativa alla libertà e all’intangibilità dei diritti umani fondamentali, a causa del prevalere di considerazioni di ordine terapeutico, ritenute superiori.

Accanto a questo veloce, per certi versi incredibile, mutamento del quadro interpretativo dei principi costituzionali occorre considerare anche, tra i fattori che cambieranno e verosimilmente renderanno più complesso l’approccio al tema della lotta alla povertà, l’affermarsi di una cultura di ostilità al prossimo e alla solidarietà, che è penetrata in profondità in coscienze ingannate, rese dipendenti dalla paura di un solo malanno, propinata in dosi massicce e ininterrotte da media ridotti a pura propaganda. É come se l’antica massima “homo homini lupus” si fosse trasformata in “homo homini virus”, divenendo la bussola della “convivenza” nella nuova normalità. Il pericolo è l’altro, tout court, che ti può infettare anche se amico o familiare stretto. È la filosofia della discriminazione, che di volta in volta identificava il pericolo in qualche categoria specifica, nello straniero, nell’immigrato, nell’islamico, elevata all’ennesima potenza. Autorevoli istituti di ricerca hanno rilevato che nell’ultimo anno “la vicinanza con il prossimo è diventata una minaccia da evitare il più possibile“. Un virologo come Fabrizio Pregliasco ha dichiarato che “noi dovremmo considerare che ogni contatto interumano che abbiamo rappresenta un rischio”.

Con questi chiari di luna, il contrasto alla povertà si prospetta ancora più arduo. Non solo per l’aumento dei “poveri” ma anche perché molti di quelli che le statistiche inseriranno nel computo dei poveri saranno pezzi di ceto medio. Sarebbe un errore madornale pensare di poter utilizzare gli stessi strumenti della lotta alla povertà per frenare la caduta della classe media. I ceti lavoratori hanno bisogno di interventi tempestivi che consentano loro il mantenimento dell’attività, di salvare casa, lavoro e futuro dei figli, e non di interventi solo ex post come costringe a fare il nuovo Isee e più in generale una concezione troppo selettiva del welfare. É un po’ come aspettare che l’edificio venga incenerito dalle fiamme prima di chiamare i pompieri. Occorre, al più presto, pragmaticamente, tornare al welfare universale, dare tutto a tutti, come primo passo per dare di più a chi ha più bisogno, in modo che i più deboli possano almeno tornare ad avere le briciole. Perché di inezie stiamo parlando, rispetto alle decine di migliaia di miliardi che le banche centrali in questi anni hanno erogato, a fondo perduto, a vantaggio dei soli grandi operatori finanziari. Questo è anche l’orientamento seguito negli interventi economici antipandemici degli Stati Uniti, prima con Trump e ora, ancor più con Biden, dai quali i meno abbienti traggono i maggiori vantaggi. Non altrettanto può dirsi per l’Unione europea, che sconta, oltre alle lungaggini burocratiche, un insormontabile blocco ideologico verso le politiche espansive.

E occorre una riflessione politica generale rispetto all’evoluzione socioeconomica in corso. L’emergenza sanitaria, in un solo anno ha già fatto raddoppiare gli utili dei maggiori gruppi mondiali del web, mentre ha mandato sul lastrico centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. La tendenza che si profila è quella al progressivo esproprio – per fallimento da restrizioni che di volta in volta saranno reiterate – della proprietà privata diffusa che sarà trasferita nelle mani di pochi monopolisti di tutto, a livello globale. Dunque, la classe media, in Occidente, sarà progressivamente sostituita da masse popolari indigenti, sorvegliate e confinate con motivazioni terapeutiche, a cui non sarà più consentito l’accesso ad alcuna forma di proprietà privata e lo stesso istituto familiare, tradizionale quanto poderoso ammortizzatore sociale, sarà messo in discussione, incolpato di favorire i “contagi” tra le generazioni. Occorre dunque avviare un dibattito alla ricerca degli strumenti più idonei ad affrontare una povertà che sta tornando ad essere di massa, ma anche sui problemi, serissimi, di governabilità e di tenuta dell’assetto democratico e della pace tra le nazioni, che un tale (inevitabile?) cambiamento socio-economico ha come prezzo.

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