Filippo di Edimburgo e la monarchia britannica
Se ne è andato senza alcun clamore, il principe Filippo di Edimburgo, esattamente come aveva vissuto. Per il consorte della regina Elisabetta, una vita stando sempre un passo dietro di lei: un compito facile solo in apparenza.
In un mondo di primi attori e di prime donne, non solo da oggi affollato da ridicoli esibizionismi e penose trasgressioni, Filippo ha avuto come divisa quella di rimanere in secondo piano. Qualcosa che lo rende di esempio per tutti noi, non di rado alle prese con quella voglia di apparire e di stare in prima fila che sembrano essere il segno distintivo della nostra epoca.
Forse anche per questo suo porsi in controtendenza, rispetto a certi canoni oggi dominanti, risultava particolarmente simpatico e popolare. Poi c’erano le sue immancabili gaffe – con un umorismo a volte non pienamente appropriato, ma sempre spontaneo – a renderlo una figura dai tratti assai umani. Meno ingessata nel protocollo reale. E poi, tra un paio di mesi, il 10 giugno avrebbe compiuto cento anni: un traguardo mancato davvero per poco.
Alcuni anni fa, in occasione di uno speciale anniversario di matrimonio, la Regina ebbe a definirlo “la mia roccia”. E in effetti era il suo vero ed affidabile sostegno dinanzi alle fatiche e alle responsabilità connesse alla Corona. Adesso Elisabetta sarà più sola, ma c’è da credere che il carattere e la tempra che da sempre la caratterizzano, le permetteranno di sormontare anche questo vuoto che la investe tanto da vicino.
Di certo la monarchia, in apparenza desueta, continua anche nel XXI secolo ad avere un suo fascino. Fascino per un’istituzione – ovviamente ci si riferisce alla versione costituzionale di questa forma di Stato – capace di separare in modo netto la sfera della nazione, che ci parla dei valori secolari di un popolo, da quella del governo, basata su una maggioranza eletta democraticamente, che riflette invece le contingenze dell’attualità. Quella britannica poi è la monarchia per antonomasia. La più classica. Segnata, e non potrebbe essere diverso nel mondo in cui viviamo, da mille vicissitudini, a volte non proprio irreprensibili, che da lunghi decenni riempiono le pagine dei rotocalchi.
Una monarchia che ha saputo conquistarsi il suo posto nella modernità del nostro secolo, quando Giorgio VI rimase a Londra con la moglie e le due figlie (una era ovviamente Elisabetta), nonostante gli incessanti bombardamenti tedeschi. Anzi proprio per questo non si mosse. Voleva dare l’esempio ai propri concittadini di un’indomita volontà di resistere in nome della libertà. Comportamento un po’ diverso dalla nostra monarchia che fuggì da Roma, lasciando allo sbando l’esercito e la popolazione.
Davvero un altro carattere quello dei reali britannici. Una condotta confermata anche molti anni dopo, nel 1982, quando stava partendo la flotta per riconquistare le isole Falkland, proditoriamente occupate dagli argentini. Sulla portaerei “Invincible”, capofila della Marina pronta a salpare, uno degli ufficiali era il principe Andrea, ultimogenito della coppia Reale. Il primo ministro, Margaret Thatcher, e il governo, non sapevano come fare, c’era il rischio di inviare il principe in una zona di guerra. A rompere ogni indugio giunse un comunicato della Corona che suonava pressappoco così: il Principe finché è in servizio sull’Invincible parteciperà alla spedizione. Suo nonno Giorgio VI ha combattuto sullo Jutland, di conseguenza è escluso che un membro della Famiglia reale possa esser trattato diversamente da qualsiasi altro ufficiale.
Fine del discorso e chiaro esempio di quel senso del dovere e delle proprie responsabilità che fa onore alla Corona britannica. Filippo simboleggiava in pieno questi principi e questi valori. Per questo oggi, nel salutarlo con grande rispetto è difficile nascondere un certo rimpianto.
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