Il monito della Giornata Mondiale dell’Ambiente

Sono passati quasi 50 anni da quando nel 1972 l’ONU, in occasione dell’istituzione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), ha proclamato il 5 giugno “Giornata mondiale dell’ambiente”, celebrandola poi per la prima volta nel 1974, all’insegna del motto Only One Earth – Una Sola Terra.

Un monito validissimo ancora oggi, perché abbiamo un solo Pianeta a disposizione e se lo devastiamo ne paghiamo le conseguenze anche noi, inteso come intera specie umana. Tuttavia, in questo mezzo secolo, dal punto di vista ambientale le cose non sono andate per niente bene.

Il fatto è che non basta segnare una data sul calendario e dedicarla a un tema specifico, se poi non si lavora ogni giorno nella giusta direzione. Certo, è importante richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mezzi di informazione su determinati argomenti, ma l’istituzione di queste “giornate” è ormai inflazionata, se ne celebrano oltre un centinaio nel corso dell’anno, da quella per la giustizia sociale a quella sui legumi, dunque il rischio è di perderne il significato e farne un simulacro ipocrita per far vedere che ci si occupa di un problema quando nella realtà non è così.

Se questa affermazione dovesse sembrarvi troppo cruda e pessimista, basta analizzare ciò che è successo all’Ambiente da quando è stata proclamata la “giornata” che dovrebbe ricordarci di proteggerlo, iniziando dal surriscaldamento globale, problema ormai arcinoto, ma per il quale si fa ancora troppo poco, nonostante sia ormai evidente come esso abbia già oggi pesanti ripercussioni sulla vita delle persone e anche sull’economia, mentre un domani potrebbe mettere addirittura a rischio la nostra stessa sopravvivenza. In questi cinque decenni la temperatura media globale è salita di circa mezzo grado centigrado, ma l’Italia si surriscalda più velocemente di altre regioni e nel 2014 è stato registrato un aumento di quasi un grado e mezzo rispetto al trentennio 1970 – 2000. L’aumento è indotto principalmente dell’effetto serra provocato dall’immissione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera a causa delle attività umane, nello specifico l’utilizzo di combustibili fossili e la crescente deforestazione. In epoca preindustriale, la concentrazione di CO2 era di 280 parti per milione (ppm); negli anni settanta del secolo scorso si era già arrivati intorno alle 330 ppm, ma da allora abbiamo peggiorato parecchio e ormai si sfiorano le 420 ppm, segno che non ci siamo impegnati per nulla a invertire la tendenza, anzi abbiamo addirittura accelerato.

Discorso analogo per la plastica, nata negli anni ’60 del novecento e che nel 1970 iniziava la sua espansione inarrestabile: allora, la produzione mondiale poteva essere stimata intorno ai 20 milioni di tonnellate annue, oggi siamo arrivati a 310 milioni, di cui una porzione rilevante adibita al monouso. Se consideriamo che solo una minima parte della plastica immessa in commercio viene effettivamente riciclata, ne consegue che un’enorme quantità rimane nell’ambiente, quando va bene in discarica o nei fumi degli inceneritori, altrimenti dispersa su terreni e corsi d’acqua, comunque fatalmente destinata a finire in mare. Da lì, ritorna poi al mittente attraverso la catena alimentare, a partire dal plancton fino ai pesci che portiamo sulle nostre tavole. Proseguendo di questo passo, nel giro di pochi lustri la quantità di plastica in mare sarà superiore a quella di pesce, tuttavia la previsione è quella di aumentare ancora la produzione.

Discorsi analoghi possono essere fatti per la deforestazione, che avanza implacabile, per lo scioglimento dei ghiacci, per la perdita di biodiversità e altre questioni globali di grande rilevanza, che finiscono per impattare anche sulle nostre vite. È noto per esempio che la causa principale dell’emergere di nuove malattie è il cambio di destinazione d’uso dei suoli, ovvero la trasformazione di habitat naturali in coltivazioni intensive o zone urbanizzate, fattore che provoca promiscuità fra fauna selvatica e animali domestici, con possibile trasmissione di virus sconosciuti. Anche gli allevamenti intensivi  amplificano i fattori di rischio, perché fungono da incubatori per microorganismi e mutazioni che possono a volte effettuare lo spillover, il salto di specie, arrivando a infettare l’uomo.

Di tutto questo i decisori politici si occupano troppo poco e l’opinione pubblica ancora meno, anche se nell’ultimissimo periodo la sensibilità ambientale sembrerebbe aumentata. Ma spesso si tratta di un atteggiamento di facciata, buono per attirare consensi o impostare campagne commerciali, quello che in gergo viene definito greenwashing, “lavaggio verde”. Poi, se vai a vedere come stanno veramente le cose, ti accorgi che la filosofia è quasi sempre quella del business as usual, affari come al solito, senza una vera svolta ecologista. È l’accusa che viene mossa da più parti anche al PNRR, il Piano di Ripresa e Resilienza con il quale l’Italia dovrebbe indirizzare i fondi europei del Next Generation EU in un’ottica di transizione ecologica, ma che rischiano di essere l’ennesima occasione sprecata.

Si potrebbe fare una carrellata infinita di brutti esempi mostrati dalla politica a ogni livello, dai comuni al governo centrale, e peggio ancora succede nel mondo “produttivo”, dove si moltiplicano i comportamenti illeciti, dallo spargimento di fanghi tossici sui campi coltivati ai roghi di capannoni pieni di rifiuti.

Ma per questa Giornata dell’Ambiente ci piace ricordare il leader che più di tutti è conscio del problema e si batte in prima persona per alzare il livello delle coscienze, quel papa Francesco che all’ecologia ha dedicato la sua Enciclica Laudato Sì, analisi minuziosa e onnicomprensiva dei disastri ambientali in corso e dei possibili rimedi. Ma ha fatto anche qualcosa di concreto, nel minuscolo Stato che amministra: la Città del Vaticano è uno dei territori più sostenibili del mondo, con una grande attenzione al risparmio energetico, alla gestione dei rifiuti, al consumo di acqua. Sono banditi i pesticidi, la raccolta differenziata è elevata, gli impianti di illuminazione a basso consumo. Insomma, un modello di gestione encomiabile e da seguire. Solo che lo Stato pontificio è minuscolo, mentre i giganti della Terra non sono altrettanto attenti, anzi contribuiscono a peggiorare le cose.

C’è bisogno di fare molto di più, in fretta. Questo decennio è decisivo, se si vuole invertire la rotta in senso sostenibile e provare ad arrestare la devastazione del pianeta, poi sarà comunque troppo tardi per evitare la catastrofe ecologica che progressivamente peggiorerà la vita di tutti noi e delle generazioni future. È imperativo che la Giornata dell’Ambiente sia tutti i giorni, nei nostri comportamenti quotidiani e nel nostro stile di vita.

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