Una “Aida” tutta d’oro all’Arena di Verona
Lo spettacolare allestimento di Franco Zeffirelli con un grande cast, in cui spicca Anna Netrebko
di Alessandro Mormile
L’Arena di Verona è ripartita alla grande. Il Covid quest’anno non l’ha fermata, né condizionato, come era avvenuto l’anno scorso, la tradizionale forma degli spettacoli.
Sono tornati i suoi allestimenti più emblematici, come quelli di Franco Zeffirelli, sigla distintiva di una grandeur che, piaccia o meno, è gradita dal pubblico. Ed è innegabile che l’Aida di Verdi, oltre ad essere l’opera simbolo dell’Arena, si presenta, proprio nella messa in scena che il grande regista scomparso firmò curandone le scene e affidandosi per i costumi ad Anna Anni e a Vladimir Vasiliev per le coreografie, fra gli spettacoli divenuti sigla distintiva del marchio Arena.
Uno spettacolo rutilante e sfarzoso, dove l’antico Egitto, con i suoi simboli religiosi, non è puramente archeologico ma nasce come un sogno d’oro e di colori sgargianti, mostrando le diverse facce di una gigantesca piramide rotante, formata da canne lignee dorate. Le comparse in scena non si riescono quasi a contare, tante che sono, e il rosso e l’azzurro si mischiano all’oro e alle atmosfere blu di notturni esotici. Uno spettacolo, diranno alcuni, eccessivo. Ma gli eccessi, come i contrasti, sono parte integrante del “sistema” Arena.
Così, come sempre, se non è facile abituare l’orecchio a cogliere le sfumature in grandi spazi come questo, o non automatico che un direttore possa tenere in pugno le gradi masse senza incorrere in squilibri, – anche se Marco Armiliato, sul podio dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona, è sempre attento al respiro dei cantanti per favorirli al meglio – il fascino di uno spettacolo così configurato non perde mai della sua innegabile magia. Se poi, come nel caso della recita Aida della quale riferiamo, il cast è prestigioso, ecco che il successo è assicurato.
La serata del 16 luglio vedeva infatti la grande cavea areniana affollata in ogni ordine di posti, attirata dalla presenza, nei panni di Aida, della diva Anna Netrebko. A lei sono andate le acclamazioni entusiastiche del pubblico, invero meritate, perché oggi la voce della grande cantante russa, al massimo delle sue possibilità, mostra una ricchezza di suono, una morbidezza della linea e una raffinatezza nello smorzare le note che non hanno eguali. Una Aida, la sua, sensuale e volitiva, ma soprattutto liricamente abbacinante nel piegare la voce in pianissimi eterei eppure carichi di morbidezza e rotondità fascinosissime. Ecco, quindi, un “Cieli azzurri” da antologia, che ascoltato da lei sembra addirittura liberato delle insidie che ne costellano la scrittura (il do acuto, intonato in pianissimo, è una vera perla) e che l’arte della Netrebko rende facili con il suo talento di cantante e d’interprete. Qua e là, ad essere proprio pignoli, si avverte una certa libertà nella quadratura musicale del ruolo, con libertà di fraseggio commisurate alla sua idea del personaggio, che è sì quella giusta, perché la sua Aida è un misto di carnalità e lirismo, anche se, come spesso capita alle grandissime come lei, asservita ad una personalità e ad un temperamento che trascende il dato espressivo, commisurandolo a quello della magnificenza vocale, anche a scapito di qualche isolata sbavatura.
L’Amneris di Anna Maria Chiuri, sempre attenta al rendimento vocale, non patisce certo il confronto con cotanta Aida, perché è sensibile e intelligente nel tracciare l’immagine del personaggio visto come donna innamorata. Tutto si riflette, più che nelle invettive, comunque ben risolte nella grande scena del giudizio con i Sacerdoti, nel fraseggio accuratissimo ed addirittura miniato in funzione espressiva, come nei temibili attacchi di “Ah! Vieni, amor mio”, risolti con eleganza ed addirittura intonati dando un rilievo espressivo diverso, come avviene nell’ultimo, come fosse un sospiro d’amore rivolto all’uomo che ama e difende all’estremo delle sue forze, dimostrando come all’amor non si comanda anche quando esso non è corrisposto come ci si aspetterebbe. La sua è, quindi, una Amneris veramente innamorata più che percorsa da un sentimento di vendetta e rivalsa che un amore indomito, sentito fin nelle viscere, non potrebbe ammettere. Ecco perché la sua prova non è di minor importanza, perché attenta al significato di ogni parola, verdianamente resa viva e palpitante.
L’uomo che è mira dell’amore di queste due donne rivali, così ben delineate, è il Radamès del tenore Yusif Eyvazov. A voce fredda, appena attacca il celebre “Celeste Aida”, non tutto funziona a meraviglia, ma subito si riscatta, sia provando con esiti più che plausibili il si bemolle acuto in piano che ne sigla la conclusione (con un interessante suono misto), sia dando, nel prosieguo della serata, alla sua visione della parte un taglio appassionato più che eroico. Questo si ripercuote soprattutto nelle scelte di una linea di canto che cerca soluzioni espressive orientate su quel canto sfumato che lo fa emergere nella scena del Nilo come nel duetto finale con Aida. Una prova, la sua, nonostante la grana del timbro vocale non certo baciato da Dio, di tutto rispetto, come di livello sarebbe anche quella dell’Amonasro di Ambrogio Maestri, se non fosse che la voce, ancora tonante, risente di evidenti forzature in acuto.
Di rilievo il Ramfis di Rafał Siwek e funzionale Il Re di Romano Dal Zovo. Completano il cast di questa felice serata areniana il Messaggero di Francesco Pittari e la Sacerdotessa di Francesca Maionchi.
Successo per tutti, con punte d’entusiasmo per la diva Anna Netrebko.
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