“La favorite” di Donizetti a Bergamo
Discutibile allestimento riscattato da un cast vocale di alto valore.
di Alessandro Mormile
Il Teatro Donizetti di Bergamo, dopo il restauro che l’ha restituito alla cittadinanza più bello che mai, propone per il Festival Donizetti Opera di quest’anno L’ajo nell’imbarazzo, assieme all’interessante riscoperta del melodramma semiserio Chiara e Serafina e, soprattutto, alla versione originale in francese de La favorite, proposta nell’edizione integrale, della quale riferiamo.
Lo spettacolo, che subito si presenta come fonte di riflessioni contrastanti prima ancora che per l’indubbia qualità della resa musicale, reca la firma di Valentina Carrasco, regista già discussa per il suo recente Simon Boccanegra proposto al Festival Verdi di Parma, ma in passato anche per l’Aida allo Sferisterio di Macerata. Qui a Bergamo, con scene di Carles Berga e Peter van Praet e costumi di Silvia Aymonino, pensa ad uno spettacolo che ha il dono della coerenza nel seguire un tracciato registico ben realizzato ma solamente in funzione di un messaggio che ha poco a che vedere con la drammaturgia dell’opera di Donizetti.
Carrasco medita sulla condizione delle favorite trecentesche: donne che godevano dei favori dei monarchi, come avvenne realmente con Leonora di Guzman, amante di re Alfonso XI di Castiglia, proprio per questo in qualche maniera rispettate, non giudicate e quindi punite o condannate come avverrà invece nella visione che di loro fece il melodramma ottocentesco, moralmente conforme a regole ipocritamente borghesi.
Le favorite dei re sono in perenne attesa di godere dei favori di chi le sostiene, chiuse in una sorta di prigione che le condanna ad una vita ricca di favoritismi regali ma, nella sostanza, incompleta e infelice. Sono fiori che sbocciano ma subito sfioriscono nel non poter realizzarsi pienamente. Ecco perché la scena mostra grandi grate che, scorrendo, fungono da sipari di una visione femminile imprigionata dai condizionamenti della morale religiosa o, quando vengono mostrati tanti letti prima coperti da velari bianchi e poi scoperti, essi assurgono a simboli di quelle molte donne favorite che hanno poi visto svanire su talami di piacere effimero la loro giovinezza nell’attesa di essere considerate dal monarca di turno, del quale sono state amanti. Tutte queste donne, segnate dal tempo nell’attesa di una vita rivelatasi sprecata, restano orgogliosamente se stesse e divengono protagoniste, nei ballabili del secondo atto, di una pantomima di tutto questo, apparendo vecchie attempate relegate ai margini di una società che le rifiuta dopo non aver loro permesso di completarsi in pienezza di vita. Tutto è realizzato secondo un disegno ben meditato, eppure lontano da ciò che l’opera e il libretto di Donizetti propongono, a conferma di quanto a certi registi non importi essere interpreti della drammaturgia dell’opera che sono chiamati a mettere in scena, ma la utilizzino per lanciare messaggi del tutto autoreferenziali. Ed è marginale che il tutto, come in questo caso, venga ben realizzato, se poi finisce per non rispondere al pensiero di ciò che il soggetto del libretto e le ragioni della musica propongono. Alla recita domenicale del 27 novembre, della quale si riferisce, si sono avvertiti diversi buu al termine dei balletti, prontamente zittiti, ma è chiaro che simili forzature interpretative non servano altro che a gratificare l’ego di chi le pensa.
Fortunatamente, in ambito musicale e vocale, questa Favorite bergamasca prende quota e compensa l’amare visione di quanto descritto. Riccardo Frizza tiene in pugno, alla testa dell’Orchestra Donizetti Opera e del Coro Donizetti Opera e dell’Accademia Teatro alla Scala, una partitura di grande respiro, dando pieno risalto alle scene di massa in stile grand-opéra, con concertati davvero ben sviluppati, ma prestando molta attenzione anche nel seguire i cantanti, favorendoli con accompagnamenti morbidi e delicati. Ne trae vantaggio una compagnia di canto assai ben assortita.
Fra tutti emerge il Fernand del tenore Javier Camarena, che ha il merito di possedere squillo in acuto, e ben lo dimostra anche nella temibile cabaletta che conclude il primo atto, “Oui, ta voix m’ispire”, pensata da Donizetti per il mitico Gilbert-Louis Duprez, primo interprete di questa versione parigina, ma anche colorando le frasi, rendendo il suono leggero e morbido nel canto legato, fino ad arrivare all’aria dell’ultimo atto, “Ange si pur”, cesellata con classe e stile paghi delle ascendenze del canto romantico ottocentesco. Già si sapeva che Camarena fosse uno dei tenori migliori del momento per il repertorio del primo romanticismo italiano. Qui l’ha confermato con una prova maiuscola.
Di quanto testé detto sono consapevoli anche gli altri interpreti, a partire dalla Léonor del mezzosoprano Annalisa Stroppa. Pure lei ha voce elegante, ben impostata e risolve la tessitura “Falcon” che è tipica di questa parte con saggezza espressiva e mezzi vocali sui quali non si possono che spendere lodi. Per di più è un’ottima e fascinosa interprete. Una cosa le manca: la densità sonora e la reale morbidezza di centri in grado di donare reale fascino alla melodia di “O mon Fernand”, ben cantata ma senza il peso specifico, il velluto prezioso e la setosità di suono richieste. Tuttavia Stroppa risolve assai bene la successiva cabaletta, nella quale molte sue colleghe spesso sono naufragate, e nel duetto finale con Fernand è eloquente quando basta, oltre che sempre precisa nel dominare la difficile scrittura della parte.
Anche il baritono francese Florian Sempey possiede stile, senso del canto legato ed essendo di madrelingua una pronuncia perfetta, anche se per dar pieno risalto ai magnifici cantabili di Alphonse XI sarebbe necessaria una morbidezza di suono più naturale che costruita, un’ampiezza di cavata sonora attraversata da quella nobiltà che renda il suo canto da baritono grand seigneur più soffice e rotondo, mentre alcuni suoni sembrano uscire come velati, filtrati da un cuscino che pare bloccargli l’espansione del suono.
Un po’ acerba l’emissione di Caterina Di Tonno come Inès, mentre eccellente il basso Evgeny Stavinsky nei panni di Balthazar, come nei ruoli di contorno apprezzabili sono le prove di Edoardo Milletti (Don Gaspar) e Alessandro Barbaglia (Un signeur).
Al termine dello spettacolo, successo festosissimo per tutti.
Foto di Gianfranco Rota
Lascia un commento