Cambiamo impronta all’autobiografia della nazione

Di Carlo Baviera

Sulla rivista Il Regno attualità di ottobre si può leggere un interessante editoriale (come lo sono tutti i suoi editoriali) del direttore Gianfranco Brunelli.
Dopo aver sottolineato che “La vittoria del centro-destra, [..] è in gran parte il frutto dell’affermazione di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Di un partito che è il risultato del combinato tra una destra nostalgica e una radicale, tra una cultura autoritaria e un nazionalismo che si è ridefinito come sovranismo” ricorda che “Le difficoltà di un governo politicamente centrato su Fratelli d’Italia non nascono solo dall’evidenza oggettiva della situazione drammatica nella quale il paese si trova [..], ma anche dalla soggettività di chi governa”.
Affronta poi le questioni sempre aperte: “E tuttavia i conti col passato sono da fare a destra come a sinistra. Perché il fallimento della transizione dei trent’anni, quella avviata dagli eventi del 1989, sta proprio in questo: nella mancata soluzione della questione post-fascista e di quella post-comunista. [..] A Giorgia Meloni la vittoria assegna il compito e la responsabilità d’affrontare la questione post-fascista. Non basterà la scelta del fare come ideologia politica sostitutiva, non basterà il pur necessario pragmatismo di governo[..]. La prima di queste è la concezione liberale della democrazia. [..] Il secondo punto si chiama atlantismo. Non basta professarsi amici degli Stati Uniti e legati all’Alleanza atlantica. [..] non si dà un atlantismo senza la costruzione dell’Europa. Senza è un’altra cosa. Quella che piace ai polacchi. [..] Il terzo punto riguarda la relazione tra nazioni, nazionalismi e futuro dell’Unione Europea. L’appartenenza all’UE e all’eurozona richiede la condivisione e lo sviluppo di regole che se chiamano l’Europa a una maggiore solidarietà interna, esigono che i singoli paesi non pensino a velleitarie fughe nazionalistiche”.
Infine affronta le questioni relative al PD: “La sconfitta del PD, elettorale perché politica, mette capo a serie preoccupazioni per la tenuta del sistema democratico. Quella del 25 settembre 2022 non è una sconfitta tutta addebitabile al segretario Letta. Un segretario non basta. [..]Il problema del PD è il PD. Non il nome, ma la «cosa», come lo fu la fallita trasformazione del PCI. Il problema del PD è ciò che non è mai diventato, la sua mancata novità democratica, soprattutto per responsabilità del suo gruppo dirigente, che non è stato in grado di fare una «cosa nuova», ma che ha fatto sempre la stessa cosa, sistemare gli organigrammi della «ditta», senza discuterne la forma democratica e il progetto politico per il paese”. 
Su un passaggio, a proposito della legittimità democratica dei vincitori delle scorse elezioni, mi restano dubbi, o meglio, diciamo che non condivido totalmente: “risulta storicamente e politicamente fuorviante la lettura gobettiano-dossettiana del ”.
Perché condivido solo in parte quella frase? Che chi ha vinto sia legittimato a governare è indubbio; che FdI sia un partito non più semplicemente assimilabile al MSI pure; che non ci saranno camice nere e olio di ricino nel nostro futuro è altrettanto prevedibile (un esimio professore dell’Università di Torino affermava giustamente in un recente dibattito relativo alla marcia su Roma che oggi, nonostante l’indebolimento dei corpi intermedi, esiste comunque una società pluralistica difficilmente ingabbiabile in regole vincolanti).
E allora perché continuare a chiedere esami del sangue e radiografie politiche a partiti e politici che siedono da anni in Parlamento e governano amministrazioni comunali e regionali, accettando e praticando regole e metodi comuni a tutti?
A parte il fatto che le prime dichiarazioni di esponenti di quel partito e i primi provvedimenti adottati dal governo non rassicurano sulla limpida democraticità, non è tanto riguardo al movimento politico in sé che mi riferivo. E’ invece la cultura (incultura!) di tanti cittadini, il muscolarismo, il desiderio di leaderismo e personalizzazione della politica, l’egoismo strisciante di molti che ritengono solidarismo e pacifismo vecchi arnesi, il sovranismo e il nazionalismo che portano a disgregare l’Europa, i pregiudizi verso politiche di inclusione e di comprensione rispetto agli errori; queste sono le cose che preoccupano.
Sicuramente i voti raccolti dalla maggioranza attuale alle elezioni sono attestazione di fiducia nel programma e soprattutto nelle promesse, di desiderio di svolta, di insoddisfazione rispetto ad una sinistra divenuta libertaria e imborghesita anziché sociale e laburista. E per le incerte stagioni di governi senza maggioranze politiche precostituite e chiare. (Anche se il Covid lo si è affrontato con decisione e l’autorevolezza dell’Italia in Europa è stata riconosciuta confidando nelle capacità e autorevolezza di chi l’ha guidata di recente).
Ripeto, la questione riguarda i cittadini, gli elettori. Continuo a ritenere che molti italiani abbiamo della democrazia un concetto non sempre in linea con lo spirito della Carta Costituzionale; di pensare soprattutto alla propria sicurezza, a coltivare uno spirito nazionalista più che patriottico, a ritenersi superiori rispetto ai partners europei, a pensare in termini egoistici piuttosto che comunitari e solidali, di non apprezzare il pluralismo e le differenze come aspetti positivi.
Inoltre, se molti desiderano superare gli eccessi di ciò che è stato e rappresenta il “sessantotto”, questo avviene sperando di ritornare al pre ’68: una società classista, una scuola chiusa alle novità e troppo nozionistica, posti di lavoro dove il lavoratore ha pochi diritti (di questi tempi accontentatevi che un lavoro lo avete!), reintroduzione della leva militare (così si diventa uomini veri), ripristinare l’autorità in famiglia a scuola nel pubblico non rinunciando ad un certo autoritarismo, ecc.
La “morte” della partecipazione, l’avere narcotizzato la società con un benessere non sempre e del tutto positivo, le televisioni private che trasmettono disvalori e nessuna responsabilità, l’avere aziendalizzato i servizi pubblici, inserito tecnici e manager là dove la Politica doveva guidare le scelte (e su quelle essere giudicata) hanno portato i cittadini a chiedere l’uomo forte, a desiderare più decisionismo anziché rappresentanza e dialogo.
Leggevo nel recente libro di Guido Bodrato sulla nascita e il tramonto del Partito Popolare di Sturzo che, rispetto a chi nel mondo cattolico si riproponeva di “cristianizzare il fascismo” la risposta che venne dal duce fu “fascistizzerò l’Italia”. In questo inizio secolo si ritorna ad una mentalità, mai sopita, che riporta a modi di pensare e a comportamenti che dagli anni sessanta sembravano finalmente abbandonati ritornano a galla; compresi i giudizi sulla posizione dei pacifisti ritenuta e addirittura (le contraddizioni del né con la Nato né con la Russia sono da condannare, ma la grande massa è responsabile e rigorosa nel richiedere percorsi e azioni di pace), cancellando in un momento ciò che ha alimentato la coscienza civile dall’opposizione alla guerra nel Vietnam, contro i colpi di Stato in Cile e Grecia, contro l’invasione della Cecoslovacchia, contro le guerre in Iraq.
Ecco dove sorgono i miei dubbi. Sperando di averla sparata grossa e di sbagliare. Tutto quanto indicato come esempio di di una nazione individualista e muscolare e mercatista e di ritorno alla “schiena dritta” sovranista richiedono formazione delle coscienze e percorsi educativi che rimettano al centro una visione comunitaria.

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