Antonio Scurati – Gli ultimi giorni dell’Europa
Antonio Scurati nel suo ultimo libro “Gli ultimi giorni dell’Europa” (editore Bompiani) ci riporta ai momenti cruciali che tra il 1938 e il 1940 precedettero la Seconda guerra mondiale e l’entrata dell’Italia nel conflitto. L’autore fa rivivere quegli avvenimenti sotto un’accattivante veste romanzata più che in forma di saggio storico, partendo dal maggio 1938 quando Hitler venne in visita ufficiale nel nostro Paese. Il viaggio del Fuhrer nella Capitale che suggellò la nascita dell’Asse Roma-Berlino abbozzato nell’autunno precedente: primo passo verso l’abisso in cui saremmo piombati due anni dopo.
Al fondo dei diversi capitoli – che seguono ovviamente un rigoroso ordine cronologico – si aggiungono, ad impreziosire la narrativa, le dichiarazioni e le impressioni dei diversi protagonisti. Spiccano per dovizia di particolari i diari di Galeazzo Ciano e di Giuseppe Bottai. Una memorialistica che secondo alcuni è talvolta costruita per il futuro lettore ma che ci consegna anche l’interessante resoconto di chi quelle vicende le visse – Ciano soprattutto – davvero da vicino.
Scurati fa scorrere le tappe che inesorabilmente portarono alla guerra. Emerge un Mussolini come una sorta di Giano bifronte: bellicoso, nell’auspicio di un’Italia guerriera, ma anche consapevole delle nostre debolezze. Un rovello che lo attanaglia e che confida alla sua amante Claretta Petacci, cui sfoga i propri malumori.
Trovano poi spazio nel libro altri personaggi meno conosciuti: da Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo, di vaghi sentimenti antifascisti, prescelto per fare da guida ad Hitler agli Uffizi, a Maddalena Sarfatti, intima del Duce nei suoi anni giovanili e poi scomoda testimone del suo passato, a Renzo Ravenna, fascista della prima ora e podestà di Ferrara, rimosso a causa delle leggi razziali in quanto ebreo.
A quella che resta certamente la pagina più ignominiosa della nostra storia contribuirono in tanti. Spesso per colpevole acquiescenza. Quando il Gran Consiglio diede il via libera alle misure razziste solo Italo Balbo contestò apertamente la decisione. Da lì in poi fu un lento scivolare sul piano inclinato che conduceva alla guerra.
Mussolini avrebbe voluto, come nel 1938 a Monaco, ritagliarsi il ruolo di arbitro della stabilità europea, ma ormai il vecchio continente stava correndo verso il baratro. E in quel baratro c’era anche l’Italia, legata ad un patto che la obbligava ad intervenire in appoggio alla Germania anche qualora fosse questa ad attaccare.
Allo scoppio della guerra, nel settembre 1939, per uscire dal vicolo cieco in cui con incredibile leggerezza ci eravamo cacciati non trovammo altro modo che produrre quella che sarebbe passata alla storia come la “lista del molibdeno”: metallo, semisconosciuto ai più, del quale chiedevamo la fornitura ai tedeschi, assieme a tonnellate di acciaio, petrolio, gomma e carbone per poterci schierare al loro fianco. Una lista compilata dai vertici militari che il Duce – ci dice Scurati – si premurò addirittura di raddoppiare e che, ammesso fosse stato possibile per la Germania accontentarci, avrebbe richiesto migliaia di treni per il trasporto nella nostra penisola.
Bernardo Attolico, ambasciatore a Berlino, consegnò l’elenco ad Hitler che decise di stare al gioco. Joachim von Ribbentrop, il ministro degli Esteri, chiese dunque al nostro diplomatico per quando ci sarebbe servito tutto il materiale. Attolico, cui Roma non aveva fornito tempistiche, rispose senza esitazioni “Subito. Prima dello scoppio della guerra”. E così per sei mesi restammo fuori dal conflitto, in posizione di non belligeranza.
Poi le clamorose vittorie tedesche in Belgio, Olanda e Norvegia e, ancor di più, il subitaneo crollo della Francia ci indussero al passo fatale. Da lì cominciò un’altra storia che Scurati non ci racconta, ma che conosciamo sin troppo bene.
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