Dai referendum una nuova stagione del cattolicesimo democratico?
Il referendum torna a dar voce alla volontà popolare troppo spesso trascurata dalla politica. E pensare si era persino diffusa l’idea di limitare l’utilizzo di questo strumento di democrazia diretta, innalzando il numero minimo di firme da raccogliere (da 500 mila ad un milione) o studiando qualche altra astrusità volta a depotenziarne gli effetti. Una certa cattiva politica prova sempre a togliere spazio alla partecipazione dei cittadini.
Ed invece ecco giungere proprio dal ventre profondo del Paese quattro risposte, in barba a quella classe politica che a questi referendum non aveva mai creduto e li aveva boicottati o tiepidamente sostenuti. I cittadini tornati in massa alle urne, dopo che per alcuni anni le consultazioni referendarie erano miseramente fallite per mancanza del quorum, hanno detto alcune cose ben precise: i beni essenziali come l’acqua devono essere di tutti e non vanno privatizzati; lo sviluppo deve essere rispettoso dell’ambiente; la legge deve essere uguale per tutti.
Da questa grande mobilitazione della società civile, per una volta più avveduta dei suoi rappresentanti, è uscito, a ben vedere, un programma di chiaro respiro riformatore. Un programma le cui architravi sono figlie del miglior riformismo cattolico, nel segno del bene comune, del vivere meglio tutti insieme, della centralità della persona.
Partendo proprio dal significato dei quattro referendum e dalle idee che sono loro sottese: uguaglianza, sviluppo sostenibile ed acqua pubblica, si ritrovano infatti quelle grandi questioni che sono un po’ il filo conduttore di un serio progetto democratico e progressista per l’Italia dei prossimi anni.
Se sulla base dell’esito referendario e del suo significato politico volessimo schizzare un primo abbozzo di questo progetto, troveremmo facilmente tutta una serie di proposte, a cominciare da una ragionevole stabilità del lavoro (penalizzando con contribuzioni più elevate tutte le forme atipiche), da un fisco centrato sulla famiglia (con un fattore familiare che consenta l’abbattimento di una cospicua fetta dell’imponibile in base al numero dei figli), dall’armonizzazione della tassazione delle rendite al 20 per cento o dall’introduzione di un salario minimo per legge per tutti i settori e su tutto il territorio nazionale. E poi ancora, dopo troppi anni segnati dal dogma del taglio delle tasse, affrontare anche culturalmente la questione di una riabilitazione delle imposte come momento distributivo e di un adeguato ed efficiente livello di servizi pubblici (welfare, scuola, sanità) come punto irrinunciabile del nostro sviluppo civile. E tutto ciò per non parlare delle grandi questioni democratiche legate al funzionamento della giustizia, ai costi della politica, alla cittadinanza per gli immigrati regolari, ad un diverso assetto del sistema televisivo pubblico o ad una riforma delle istituzioni a partire da una legge elettorale nella quale siano i cittadini a scegliere i propri rappresentanti e non l’oligarchia partitocratica.
Un programma insomma capace di portare più equità, più sviluppo, più democrazia in un’Italia ove precarietà, disuguaglianze e prevaricazioni sono cresciute in modo esponenziale. Qualcosa che riporti in auge una politica di ampio respiro, in grado di dare un orizzonte ai cittadini nel nome di un solidarismo interclassista, nel quale a chi più ha, più di si chiede.
E allora, davanti a uno scenario simile, ad essere interpellato è innanzi tutto il Partito democratico che deve però smettere di inseguire la destra o di volersi ingraziare i poteri forti ed il grande capitale. Il Pd è chiamato a scegliere: se appiattirsi dietro un grigio moderatismo privo di speranza o se stare con le classi popolari e i ceti deboli, a tutela dei loro diritti e della loro ascesa sociale.
In quest’ultimo caso molto avrebbe da dire la cultura del popolarismo, quel cattolicesimo democratico che talvolta pare un po’ ripiegato su stesso. Persona, diritti, lavoro, ambiente: ecco i punti cardinali per l’Italia di domani. I referendum hanno mostrato che in giro c’è voglia di impegnarsi sulle grandi questioni e si chiede una guida politica all’altezza della situazione. Ed è proprio a questo appuntamento che i cattolici democratici non possono mancare.
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