Massimo Miro – La faglia

E se a liberare Aldo Moro prigioniero delle Br fossero riusciti cinque ragazzi della periferia torinese? Una totale assurdità, certamente. Eppure è attorno a quest’assurdo che ruota la vicenda raccontata da Massimo Miro nel libro “La faglia” (Scrittura pura).

La faglia, che dà il titolo del romanzo, è una larga fenditura nell’asfalto della strada che congiunge l’immaginario quartiere Borgo Stura a nord di Torino dal resto della città. Una frattura della pavimentazione stradale che danneggia le auto che non hanno l’accortezza di rallentare ma anche l’immagine dell’invisibile barriera culturale e sociale che separa due mondi che nulla hanno in comune. Borgo Stura è l’universo nel quale vivono i cinque giovani tutti attorno ai diciotto anni, che hanno smesso di andare a scuola e neppure sono inseriti nel mondo lavorativo, Una vita, la loro, costellata solo di scontri con le bande rivali di altri quartieri e di rapide incursioni nel centro cittadino. Scarse, per non dire nulle, le speranze di costruirsi un futuro. Il solo orizzonte è un presente nel quale solo la forza di attrazione del gruppo, con le sue regole e con le sue complicità, riesce a dare un senso all’esistenza.

Poi, un giorno accade l’inverosimile. Uno dei giovani scorgendo su un giornale ad un tavolino di un bar la foto di Moro nel carcere brigatista crede di riconoscere nello statista Dc un anziano signore intravisto in una stanza nella casa di una ragazza con cui ha avuto una breve e fugace relazione. I cinque non sanno chi è Moro né cosa rappresenti, nasce però il pazzesco progetto di andare a liberarlo e consegnarlo alla polizia. Un’audace operazione che cambierebbe di colpo le loro vite di emarginati facendo loro assumere le vesti di salvatori della patria. Un modo per riscattarsi dal piattume senza speranza nel quale si dibattono. La fama e la fortuna farebbe a quel punto accendere i riflettori su di loro e si lascerebbero alle spalle un mondo di violenze e di emarginazione. Quel folle piano cambierà le loro vite.

A ripensare a quell’assurda ed improbabile vicenda è, molti anni, dopo uno dei cinque ragazzi del gruppo. Sono passati tre decenni da quella lontana primavera del 1978 e Gomez viaggia da Milano verso Torino per incontrare uno dei suoi vecchi amici. Egli è l’unico che, come si dice, sia riuscito a farcela. Da anni si è trasferito nella metropoli lombarda, si è sposato con una ragazza della Milano bene, ha una figlia e un lavoro ben remunerato nella ditta del suocero. Lungo l’autostrada, solo in macchina, ripensa però con un pizzico di nostalgia a quegli anni giovanili quando, pur non avendo alcun progetto da realizzare, tutto sembrava possibile. E’ la storia di un gruppo di ragazzi cui la vita ha negato molte opportunità. Certo ci sono le loro responsabilità, le loro colpe e i loro limiti, ma sullo sfondo anche quelli di una società in cui la nascita in un dato luogo o in una data condizione sociale segna per sempre in modo quasi indelebile l’esistenza delle persone.

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