“I vespri siciliani” al Teatro Regio di Torino

Trionfale esecuzione dell’opera di Verdi per festeggiare i cinquanta anni del nuovo edificio del Teatro Regio ideato dall’architetto Carlo Mollino.

Alessandro Mormile

Serata di Gala di grande festa, il 6 luglio, per festeggiare un’importante anniversario, quello del nuovo Teatro Regio disegnato dall’architetto Carlo Mollino a cinquanta anni dalla sua inaugurazione avvenuta nell’aprile 1973 con I vespri siciliani di Verdi affidati alla regia di Maria Callas. Fu ancora questo titolo, nel 2011, ad essere messo in scena per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ed oggi, in forma di concerto, celebra un traguardo altrettanto storico nella vita di un teatro ora guidato dal sovrintendente francese Mathieu Jouvin. È lui ad aprire la serata con un breve ma significativo discorso di saluto al pubblico, con riferimenti al legame culturale che unisce l’Italia alla Francia e che, anche in un capolavoro come i Vespri, riflette musicalmente la volontà del nostro più noto compositore di confrontarsi col gusto del grand-opéra. La versione proposta in questa occasione è però quella italiana, per di più privata dei ballabili delle stagioni.

L’esecuzione, oltre che degna dell’importante avvenimento del cinquantenario, segna significativamente la nuova vita ed il futuro assai promettente che per il Regio si profila dopo la crisi del Covid, il complicato periodo di commissariamento, la chiusura del teatro per il rimodernamento tecnico del palcoscenico e quel limbo di attesa per un risanamento dei conti che finalmente è stato condotto a termine, così da porre il Teatro Regio nuovamente dinanzi all’attenzione internazionale grazie ad una stagione 2023-2024 che si presenta fra le migliori nel panorama italiano e non solo.

Sono molti i fattori che fanno pensare alla bacchetta di Riccardo Frizza quale elemento di sicura affidabilità per cantanti e masse artistiche di questa esecuzione dei Vespri siciliani. L’Orchestra del Regio suona infatti sempre bene ed il Coro si presenta al massino delle sue ben note possibilità, anche con la nuova guida di Ulisse Trabacchin che, proprio in questa occasione, ne assume la direzione e si presenta da subito, al suo primo appuntamento, con risultati di valore indiscutibile. Frizza, da direttore esperto nel repertorio del primo Ottocento italiano, dilata un po’ i tempi ma ha un controllo assoluto degli assiemi ed anche quando la sua marcia direttoriale non appare autenticamente verdiana nello spirito e nell’involo (lo si avverte da subito nella Sinfonia d’apertura) si capisce che l’affidabilità e l’attenzione al canto sono una garanzia di rendimento più che persuasivo.

Il miracolo si palesa quando sul palco c’è Michele Pertusi (Giovanni da Procida). Lui sì che, oltre alla miracolosa integrità dei mezzi vocali nonostante i tanti anni di carriera sulle spalle, è cantante verdiano fino nel midollo. Lo si ammira, da eccelso fraseggiatore quale è, per la capacità di plasmare quel canto morbido e avvolgente su un legato che si sostiene sul senso della parola, tanto che ogni sillaba, anche nei recitativi, assume un’anima che palpita di emozioni espressive continue, illuminanti per l’efficace verità con la quale tratteggia il personaggio. Basterebbe la splendida prestazione di questo inossidabile basso a rendere memorabile la serata, ma le sorprese sono parimenti degne di nota dinanzi alla solidità di tenuta che Piero Pretti sfoggia nell’impervia parte tenorile di Arrigo. È sicuro sempre, anche nella temibile aria del quarto atto, dove non mostra segni di fatica. Arriva poi a risolvere senza battere ciglio il re sopracuto che Verdi prevede al termine de “La brezza aleggia intorno”, toccato senza soluzioni in emissione mista, bensì con squillo.

Per il resto non si può che apprezzare il solido professionismo del Guido di Monforte del baritono Vladimir Stoyanov, anche lui cantante verdiano di esperienza assodata, con qualche nota granulosa in acuto che tuttavia non va a detrimento di una prova di ottima efficacia espressiva.

Anche Roberta Mantegna, che in altre occasioni di ascolto mi era parsa poco convincente per il timbro tendenzialmente metallico in acuto, qui sembra aver affinato uno strumento vocale che domina con cognizione di mezzi e la porta a raggiungere il massimo dei risultatiti possibili dinanzi a una parte che, come si sa, coniuga le esigenze dell’antico soprano drammatico di agilità di estrazione ottocentesca con quelle che saranno proprie al soprano drammatico verdiano delle opere successive ai Vespri. Ed ecco che alle impennate infuocate della sortita (“Ah! Coraggio, su coraggio”), risolte piuttosto bene dalla Mantegna, si affianca un canto elegiaco-patetico di carattere spianato che la vede imporsi in un “Arrigo! Ah parli a un core” di toccante liricità, forse non sopraffino nell’immacolatezza fascinosa del legato per la scarsa attrattiva del timbro, eppure risolto al meglio delle sue possibilità, fino ad un bolero che, nell’atto successivo, la vede disimpegnarsi senza affanni.

Nella parti di contorno, che tanto spazio hanno in quest’opera, si ammirano senza riserve Amin Ahangaran (Il sire di Bethune), Emanuele Cordaro (Il conte Vaudemont), Irina Bogdanova (Ninetta), Francesco Pittari (Danieli), Paolo Antognetti (Tebaldo), Lodovico Filippo Ravizza (Roberto) e Lulama Taifasi (Manfredo).

Gli applausi, al termine di questa serata da ricordare, sono stati scroscianti, ma già carichi di entusiasmo dopo le pagine solistiche più note dell’opera.

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