Mons. Bettazzi, ultimo vescovo del Concilio
Scomparso nei giorni scorsi, alla soglia dei cento anni (li avrebbe compiuti il prossimo 26 novembre), monsignor Luigi Bettazzi – vescovo di Ivrea dal 1967 al 1992 – era l’ultimo dei padri conciliari ancora in vita. Un uomo di Chiesa che ha sempre interpretato il proprio magistero vescovile immergendo la Chiesa nelle più complesse vicende del mondo e nelle più riposte pieghe della società.
Un ruolo di presule vissuto non trincerandosi in una torre d’avorio ma dialogando in tutte le direzioni avendo unica come bussola la dignità della persona umana, la promozione dei più poveri e la pacifica convivenza dei popoli. Come presidente del movimento cattolico internazionale Pax Christi lo abbiamo visto proporre l’obiezione fiscale alle spese militari e più in generale, battersi, nel corso dei decenni, per un mondo pacificato. Precondizione per un mondo più giusto e sviluppato per tutti.
Resta nella memoria il rapporto intercorso con Carlo De Benedetti che ad Ivrea, e precisamente all’Olivetti, approdò dopo la fugace parentesi in Fiat. L’ingegnere sognava in grande ma i suoi piani industriali comportavano sempre un ineluttabile snodo: robusti tagli di personale. E proprio su questo dramma – perchè la perdita dell’ occupazione è drammatica per chi grazie a quel lavoro vive e fa vivere la propria famiglia – si innestò tra i due un dialogo serrato.
Bettazzi si domandava – un interrogativo da porsi anche oggi – perchè il rilancio di un’impresa e le nuove tecnologie dovessero necessariamente significare la perdita di posti di lavoro. Lo disse in maniera chiara. <<La fantasia di chi, per fortune ambientali e per capacità personale, si trova ai vertici di responsabilità collettive si esprime molto meglio nel riconoscimento effettivo della dignità umana di tutti i collaboratori, e quindi nella ricerca di forme partecipative che non nella ripetizione di chiusure settoriali, espressive di svalutazioni umane e alimentatrici di tensioni sociali>>. Un richiamo – ante litteram – ad un’autentica responsabilità d’impresa.
Ne scaturì un confronto tra due diverse concezioni dell’economia e della stessa società. L’una volta al perseguimento, anche legittimo, del profitto da conseguirsi però ad ogni costo. L’altra fondata sulla centralità della persona nel processo produttivo che troppo spesso il materialismo capitalista – non meno, e forse più, insidioso di quello comunista – mette facilmente da parte. Una contrapposizione tra due logiche, forse inevitabile e perennemente attuale – che è compito della primario della politica provare a risolvere.
Bettazzi fu poi protagonista di un altro famoso carteggio con il segretario del Pci Enrico Berlinguer. Uno scambio di lettere aperte nel 1976 sul rapporto tra mondo cattolico e comunista. I due parlarono di laicità, di ateismo e di religione, di solidarietà e di bene comune, di quali sfide etiche e culturali erano presenti nella società capitalista e consumista. Temi che restano più che mai di cogente attualità.
La riflessione tra il vescovo di Ivrea e il segretario comunista pur rimarcando – e non poteva essere diversamente – l’inconciliabilità tra marxismo e cristianesimo, metteva da parte i temi ideologici, insistendo piuttosto sulla ricerca di una comune prospettiva tra cattolici e comunisti dinanzi alle grandi sfide della pace, della coesistenza tra le nazioni, dello sviluppo dei popoli. Un orizzonte che – oggi come allora – resta il punto di incontro nella costruzione di quel bene comune cui tutti – credenti e non credenti – siamo chiamati a dare il nostro contributo.
Forte il richiamo all’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII, e non a caso Bettazzi fu uomo del Concilio proprio nel senso di una Chiesa capace di parlare al mondo contemporaneo. Di cercare quello che unisce e non ciò che divide. Una scelta di fondo che trova in papa Francesco il massimo ispiratore, nell’idea di una Chiesa a tutela del creato e a protezione, e promozione, dei più deboli.
Una Chiesa povera e semplice che vede il mondo con gli occhi dei poveri. <<La solidarietà con i poveri – diceva – è il terreno nel quale i cristiani possono realmente mostrare cosa significhi credere in Gesù Cristo, divenendo testimoni credibili della propria fede anche di fronte a chi è lontano>>. Bettazzi venne chiamato dai suoi avversari, presenti anche dentro la Chiesa, il vescovo “rosso”. In odore di comunismo. Appellativo che nel nostro Paese viene sovente usato come epiteto – anche contro non pochi magistrati – per delegittimare chi risulta scomodo per un certo potere consolidato.
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