Argentina, il rigetto del peronismo fa vincere Milei

Il prossimo presidente dell’Argentina sarà il liberista di estrema destra Javier Milei. Netta la sua vittoria con il 56 per cento dei suffragi, staccando di dodici punti il peronista Sergio Massa, fermo al 44. In termini assoluti questo ha significato 14,4 milioni di voti per il vincitore contro gli 11,5 milioni ottenuti dallo sconfitto.

Il ballottaggio ha ribaltato il responso del primo turno che, a sorpresa, aveva arriso a Massa. Nella sfida decisiva Milei si è avvalso del sostegno di Patricia Bullrich che schierandosi al suo fianco gli ha portato in dote larga parte dei sei milioni di voti ricevuti nella tornata iniziale. A svantaggio di Massa, attuale ministro dell’Economia, ha inciso – e non poteva essere diverso vista la carica di governo ricoperta – il grave dissesto finanziario che scuote il Paese. Un contesto che ha provocato una generale ripulsa, anche di una considerevole quota di strati popolari, nei confronti dell’assistenzialismo peronista e del suo sistema clientelare.

Si è così prodotta un’onda favorevole a Milei che dalle regioni settentrionali, prossime alla frontiera con Paraguay e Brasile, si è estesa fino al sud della Patagonia. Una valanga elettorale che gli ha permesso di ottenere il primato in ventuno delle ventiquattro province del Paese, con punte del 70 per cento in quelle di Cordoba e Mendoza. Massa ha prevalso a Buenos Aires ma con una vittoria di troppo stretta misura. E così il successo, nella provincia su cui contava per far sua la partita, si è rivelato insufficiente per rovesciare a suo favore la situazione.

In Francia si dice che alle elezioni presidenziali al primo turno si sceglie e al secondo si elimina. Una logica che in Argentina ha funzionato alla perfezione. Al ballottaggio gli elettori hanno eliminato Massa, puntando sull’anarco-capitalismo di Milei. Quest’elezione ha cancellato la classica alternanza tra radicali e peronisti che da quaranta anni, cioè dal ritorno alla democrazia, dominava il panorama argentino. Adesso si volta pagina e Milei promette di farlo nella maniera più impetuosa. Lo ha confermato appena avuto notizia della vittoria, dichiarando che <<non c’è spazio per la gradualità o per i compromessi>>.

Tutto da vedere quanto il suo programma turbocapitalista sia davvero in grado di raddrizzare la barca. Di certo il Paese si trova – come sovente è accaduto nel corso della sua storia – sull’orlo del baratro. L’inflazione veleggia sul 140 per cento annuo, l’economia è in piena crisi e la disoccupazione in forte aumento. Per rilanciare la crescita Milei punta totalmente sul mercato, riducendo la spesa pubblica con estese privatizzazioni che dovrebbero toccare anche il sistema sanitario e quello previdenziale. Un modello che ricalca quello dei famosi Chicago Boys nel Cile di Pinochet. Emerge addirittura l’idea della dollarizzazione dell’economia, utilizzando la valuta americano come moneta di riferimento al posto dello svalutato peso.

Un programma neoliberista che dovrà fare però i conti con i rapporti di forza in Parlamento. Il partito di Milei, Libertà che Avanza, alla Camera dispone soltanto di 39 seggi sui 257 totali. Stessa situazione al Senato con 8 seggi su 72. Per far passare le sue proposte avrà quindi bisogno del sostegno di Juntos o almeno della parte di questa formazione che lo ha appoggiato contro Massa. Ossia il gruppo di Proposta repubblicana (Pro) – circa 70 deputati e 15 senatori – che fa riferimento alla Bullirch e soprattutto all’ex presidente Maurizio Macri, già considerato un po’ l’azionista ombra della nuova presidenza. Immaginabile dunque che alcune delle opzioni più drastiche propugnate da Milei passino al setaccio di una più classica impostazione conservatrice.

E’ però ancora presto per parlare dei futuri assetti parlamentari. Prima tappa per Milei sarà la formazione del nuovo governo da approntarsi entro il 10 dicembre data dell’inaugurazione del suo mandato. Per gli Esteri circola il nome di Diana Mondino che ha bloccato l’assurda deriva contro il Vaticano, innescata dal libertario Alberto Lynch, vicino a Milei. L’Economia sembra in appannaggio all’ex titolare del Banco centrale, Federico Sturzenegger, un accademico di indiscussa competenza.

Da parte imprenditoriale c’è attesa per il nuovo corso, ma si vorrebbe evitare un impennarsi delle tensioni sociali. I sindacati, in larga parte vicini al peronismo, preannunciano un duro scontro qualora vengano smantellati pezzi di Stato sociale. Sul fronte politico resta da capire come si schiererà la componente radical-centrista di Juntos, mentre risolutamente all’opposizione sarà il blocco peronista (Unione per la Patria) con i suoi 107 deputati e 34 senatori.

Per Milei la vittoria alle presidenziali non significa avere carta bianca su tutto, poiché i condizionamenti di Macri si faranno sentire. Del resto in queste elezioni ha prevalso più una forte ripulsa verso l’assistenzialismo peronista che non una piena e convinta adesione al liberismo mileista. Un dato che il nuovo ospite della Casa Rosada farà bene a tenere a mente. In caso contrario potrebbe essere egli stesso destinatario di quel medesimo rigetto che lo ha sospinto alla presidenza.

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