Portogallo: Montenegro premier, appeso alla “non sfiducia”
In Portogallo, nuovo governo di centro-destra guidato da Luis Montenegro di Alleanza democratica (Ad). Il premier ha allestito un monocolore che gode della neutralità socialista, unica via di uscita, assai simile alla “non sfiducia” di andreottiana memoria, per rispondere ad una tornata legislativa decisamente complicata nel suo esito.
Le elezioni – indette anzitempo rispetto alla scadenza naturale del 2026 dopo le dimissioni del governo socialista per episodi di corruzione – hanno infatti visto un risicato successo di Ad, cartello moderato tra Partito socialdemocratico (Pds), popolari (Pp) e monarchici (Ppm). In pratica un pareggio con i socialisti: 28,9 per cento dei voti per Ad, contro il 28,1 del Ps e lievissima supremazia in termini di seggi per il centro-destra. 80 a 78. Un dato lontanissimo dalla composizione di una maggioranza, considerato che l’Assemblea della Repubblica, il Parlamento monocamerale lusitano, di seggi ne conta 230 in totale.
Vero vincitore della contesa è stato in realtà Chega (in portoghese “Basta”), partito populista ed euroscettico di estrema destra capitanato da André Ventura, ex giornalista sportivo prestato alla politica. Sorprendente il suo 20 per cento di consensi, ben il triplo di quanto ottenuto nella tornata di due anni fa. Grazie a questo vero e proprio boom elettorale Chega è passato da 12 a 50 seggi, moltiplicando per quattro la propria rappresentanza parlamentare. Inedita, per la politica lusitana, questa affermazione dell’estrema destra, il cui programma è incentrato sul taglio delle tasse nonché, secondo un copione già visto in altri Paesi europei, sulla sicurezza e il contrasto all’immigrazione clandestina.
Scartata un’intesa con la destra reazionaria di Chega e volendo evitare anche un suo appoggio esterno, per Montenegro non è restato altro che puntare sulla neutralità socialista. E’ nato così questo esecutivo di minoranza: soluzione obbligata, visto che Ad si trova ben distante dalla maggioranza assoluta di 116 seggi, mentre è stata scartata a priori l’ipotesi di una grande coalizione poiché – come succede in Spagna tra Pp e Psoe e a differenza di quanto accade in Germania tra Spd e Cdu – un’intesa tra Ad e Ps non è nelle corde della politica portoghese.
Il voto, seppure con un minimo scarto, ha comunque sancito la fine dell’esperienza governativa della sinistra che nei suoi otto anni ha conseguito dei risultati soddisfacenti. Fiore all’occhiello sono stati la riduzione del disavanzo, giungendo nel 2023 a conseguire mezzo punto di attivo nel bilancio, e il forte abbattimento del debito pubblico, passato dal 130 al 97 per cento. Oltre trenta punti in meno: una discesa virtuosa con pochi eguali in Europa.
Un percorso di risanamento, iniziato nel 2011 dal centro-destra con Pedro Passos Coelho, caratterizzato dall’aumento dell’Iva, da un’ampia semplificazione burocratica per attrarre gli investimenti e dalla riduzione mirata, settore per settore, della spesa pubblica senza tagli lineari. Dopo un primo periodo di stagnazione, l’economia ha iniziato a crescere e l’occupazione ad aumentare. L’arrivo della sinistra al governo nel 2015, con il socialista Antonio Costa, non ha mutato gli obiettivi di riequilibrio del bilancio nel rispetto dei vincoli europei, pur con l’avvio di una politica un po’ più espansiva con l’aumento del salario minimo e la riduzione dell’età pensionabile. Montenegro eredita dunque un quadro economico abbastanza favorevole, tutto da vedere se questo potrà servire a consolidare un governo che, almeno numericamente, risulta alquanto debole.
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