Jimmy Carter, i cento anni di una brava persona
Pochi giorni fa l’ex presidente americano Jimmy Carter ha compiuto cento anni. Se il suo quadriennio alla Casa Bianca non è passato alla storia, quanto avvenuto dopo l’abbandono del potere merita invece di essere sottolineato. Perché lasciata la presidenza nel 1981 – sfrattato da Ronald Reagan fautore di un liberismo che avrebbe dominato, non certo in positivo, i decenni successivi – Carter iniziò infatti una seconda vita, all’insegna dell’attenzione ai più poveri e ai più deboli. Una nuova pagina della sua esistenza nella quale probabilmente ha avuto più soddisfazioni di quando si trovava alla guida degli Stati Uniti.
E dire che quando fu eletto, nel 1976, tutto pareva arridere a questo outsider della politica, sospinto dall’ondata di cambiamento provocata dallo scandalo Watergate. E invece la sua fu una presidenza caratterizzata da pochi successi e da ben più numerosi scacchi. Tra i primi vanno annoverati il suo impegno per i diritti umani con l’aperta condanna dell’apartheid sudafricano e degli abusi compiuti dalla dittature sudamericane. Ma il risultato più eclatante fu senza dubbio la pace di Camp David con il presidente egiziano Anwar Sadat che stringeva la mano al premier israeliano Menachem Begin. Una pace tra i due Paesi che, tra alti e bassi, regge tutt’ora e che pochi anni dopo a Sadat costò la vita.
Sull’altro piatto della bilancia emergono invece gli insuccessi. Tra i quali spicca in particolare la drammatica vicenda degli ostaggi dell’ambasciata americana a Teheran. Fu l’inizio dello scontro tra Iran e Stati Uniti. Un clima di reciproca ostilità che, come vediamo anche in questi giorni, perdura anche adesso e che in quel momento rappresentò una vera e propria umiliazione per il gigante a stelle e strisce messo a mal partito dalla rivoluzione islamista di Khomeini. Colui che innescò quell’integralismo che ancor oggi caratterizza il mondo musulmano. A Carter tutto questo costò la presidenza, già penalizzata dalla crisi economica – alta inflazione e contemporanea stagnazione – che alla fine dei Settanta affliggeva gli Stati Uniti e un po’ l’intero Occidente. Un presidente sconfitto dal troppo idealismo? Forse. Ma del resto la politica non può unicamente ridursi ad una mera presa d’atto della realtà così com’é, per non disturbare gli interessi precostituiti, senza fornire una prospettiva di un generale miglioramento della vita di tutte le persone.
In ogni modo, chiusa la parentesi alla Casa Bianca per Carter iniziò una seconda vita, tutta dedita alle attività umanitarie. Nel corso dei decenni lo abbiamo visto, assieme alla moglie Rosalynn, occuparsi delle miserie del mondo, in Africa soprattutto, attraverso una serie di programmi di aiuti economici per le popolazioni colpite da malattie, guerre e carestie. Un’azione solidale ed umanitaria che nel 2002 gli valse il premio Nobel per la pace. Nelle motivazioni venne sottolineato “il suo indefesso impegno per la ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, l’avanzamento della democrazia e dei diritti umani e la promozione dello sviluppo economico e sociale”. Un’opera che ruota attorno alla fondazione che porta il suo nome e che, proprio in virtù del suo nome, ottiene cospicue donazioni per proseguire le sue attività. Un impegno che dura da oltre quarant’anni, meritorio umanamente assai più di quanto politicamente non siano stati i suoi brevi quattro anni passati alla presidenza.
Anche se, guardando in retrospettiva, pure questi potrebbero venir rivalutati, qualora messi a confronto con quanto combinato da alcuni suoi successori. Basti pensare all’avventatezza da George W.Bush nel dichiarare una guerra preventiva all’Iraq, all’insipienza di Barack Obama dinanzi alle primavere arabe o, infine, alla leggerezza nelle faccende internazionali mostrata da Donald Trump.
A cento anni, e malato da tempo, Carter continua comunque ad essere al centro di molteplici iniziative a favore del suo prossimo, di quello più debole e bisognoso. Davvero una brava persona il 39° presidente degli Stati Uniti. E in fondo è questo ciò che più conta.
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