Georgia: contrapposizione frontale dopo le elezioni
In Georgia il riconteggio di una parte delle schede – dopo le elezioni parlamentari contestate dall’opposizione – ha confermato la vittoria di Sogno georgiano. Il partito filo russo fondato dal miliardario Bidzina Ivanishvili ed oggi guidato dal primo ministro, Irakli Kobakhidze si vede dunque assegnata la vittoria in una consultazione che non sembrerebbe essere viziata dalle irregolarità denunciate dall’opposizione. Vedremo come quest’ultima risponderà, visto che persino la presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili ha chiamato i cittadini in piazza per contestare quello che ha definito un “voto rubato”.
Per intanto i dati ufficiali assegnano a Sogno georgiano il 54 per cento dei voti: bottino che gli permetterebbe di disporre della maggioranza assoluta del Parlamento ottenendo 90 dei 150 seggi totali. I quattro partiti dell’opposizione europeista, unita sotto le insegne del Movimento nazionale, hanno invece complessivamente il 38 per cento.
Nelle prossime settimane si capirà se il clima è destinato a raffreddarsi o se si aprirà un conflitto istituzionale tra il Capo dello Stato e il Primo ministro. L’opposizione ha peraltro minacciato di non partecipare alla seduta iniziale della legislatura che per l’avvio ufficiale richiede la presenza di almeno due terzi dei suoi membri. Ossia cento deputati. I novanta parlamentari di Sogno georgiano da soli non sono dunque sufficienti per dare il via ai lavori parlamentari. Il boicottaggio – una sorta di Aventino caucasico – potrebbe anche aprire la strada ad elezioni anticipate. Riportare il Paese alle urne toccherebbe alla presidente Zourabichvili, cui è affidato il potere di sciogliere la Camera, ma il fatto di esser ormai giunta alla fine del proprio mandato complica le sue mosse.
Di certo alle spalle di queste elezioni contestate si stagliano le vicende di un Paese che affonda le proprie radici nel passato ex sovietico. Indipendente dal 1991, avendo deciso di abbandonare l’Unione Sovietica poco prima del suo crollo, la Georgia – 69mila kmq, quasi 3,6 milioni di abitanti – si affaccia sul mar Nero confinando a nord con la Russia, ad est con Armenia ed Azerbaigian e a sud con la Turchia. Una collocazione che la separa geograficamente dall’Europa ma che forse proprio per questo ha acceso in larga parte della popolazione un forte sentimento filo-occidentale. Viene considerato naturale l’approdo nell’Unione europea. Assai più complicati – il meno che si possa dire – i rapporti con la Russia. Pochi hanno dimenticato che nel 2008 Mosca ha invaso il Paese per sostenere l’Abcasia e l’Ossezia del sud, regioni che puntavano alla secessione da Tbilisi e in cui ancor oggi mantiene propri soldati. Una situazione che ricorda quella della Transnistria in Moldova.
L’arrivo alla presidenza della Zourabichvili nel 2020 è sembrato porre fine a queste dispute interne e infatti nel 2023 la Georgia ha chiesto formalmente di poter aderire all’Unione europea, ottenendo lo status di Paese candidato. Il governo di Kobakhidze pur confermando, almeno a parole, la volontà di approdare nell’Unione ha poi svolto una politica decisamente contraria. In risposta si sono originate nel Paese grandi proteste a sostegno del percorso europeo e del processo di democratizzazione. Proprio volendo contrastare quest’ultimo è stata approvata una legge che punisce qualsiasi interferenza straniera nella vita nazionale. Ispirata ad un provvedimento simile adottato da Putin in Russia, essa consente di colpire i movimenti europeisti bollandoli come formazioni al soldo di potentati esteri volti a destabilizzare il Paese.
Le elezioni parlamentari avrebbero dovuto sciogliere molti di questi nodi tra una Georgia che in larga parte guarda verso l’Occidente democratico e un Governo, egemonizzato da Sogno georgiano, che vorrebbe imporre un regime autocratico sul modello putiniano. Il primo ministro prova a gettare acqua sul fuoco affermando che l’avvicinamento all’Europa non è in discussione. Una tesi che però non convince gli oppositori che nel successo parlamentare di Sogno georgiano vedono il rischio di una deriva illiberale in antitesi alla prospettiva europea. Una contrapposizione frontale che richiede una via di uscita.
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