Il cardinale Angelo Scola nuovo arcivescovo di Milano
Innanzitutto un sincero saluto al nuovo arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, all’indomani della comunicazione ufficiale. E aggiungiamo subito che siamo certi che egli verrà con “animo aperto e sentimenti di simpatia” nella Diocesi di Ambrogio e Carlo Borromeo e Montini e Martini e Tettamanzi. I cartelli stradali all’ingresso di Gerusalemme recitano “Baruch a-ba” (“benedetto tu che vieni”), sottintendendo “be-Shem Adonai” (“nel nome del Signore”, che è poi il saluto utilizzato dal vescovo Dionigi al suo successore)
Sarebbe facile accodarsi ai messaggi che da ogni parte stanno piovendo, a volte con parole di grande speranza e stima, a volte con inopportune sottolineature partigiane. Così come sarebbe facile fermarsi a considerare se non sarebbe stato più opportuno “investire” sulle nuove leve della Chiesa italiana. Penso però che sia saggio (e utile) rileggere con attenzione le parole pronunciate dai diversi protagonisti per capire cosa si muove nel loro animo, che poi in questo momento risulta essere più vero e importante.
“Ho accolto la decisione del Papa perché è il Papa”, ha confessato Scola. Non ha ricercato lui la nomina, il trasferimento da Venezia a Milano (per il quale ha parlato di “dolore per il distacco”). L’obbedienza, attraverso il Papa, è a Gesù Cristo e – ha spiegato – “mi impegno a svolgere questo servizio favorendo la pluriformità nella unità. Sono consapevole della importanza della Chiesa ambrosiana per gli sviluppi dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso”.
Ne siamo convinti: la preziosa esperienza veneziana nei confronti dell’Islam parla da sola. A Milano ci sono da anni un Consiglio delle Chiese Cristiane (che raccoglie 18 diverse confessioni delle tradizioni cattolica, anglicana, evangelico-protestante, ortodossa e antico-orientali) e un Forum delle Religioni; ci sono rapporti avanzati, per esempio, con il Patriarcato di Mosca, così come ci sono nodi che aspettano di essere sciolti (sul versante dell’autorità civile) per quanto riguarda la o le moschee. C’è una consolidata pratica di dialogo anche con il mondo laico e i non credenti. C’è una prassi “interventista” nelle questioni sociali ad ampio spettro, dalla famiglia (anzi, “le” famiglie, da ascoltare prima ancora che rimbrottare) ai ceti deboli esposti alla crisi (il Fondo Famiglia e Lavoro è diventato un modello per la Chiesa che è in Italia), all’immigrazione (attraverso la coniugazione di legalità e solidarietà). Per citare solo gli ambiti più appariscenti.
La Diocesi di Milano (oltre 1100 parrocchie!) è la più grande e complessa del mondo. Nella sua complessità – che è anche la sua ricchezza, in un mix di tradizione e originalità – ci sono esperienze antiche (il rito ambrosiano), più recenti (la Biblioteca Ambrosiana), moderne (l’Università Cattolica, la Facoltà Teologica), una rete di centri culturali, gli oratori, le comunità monastiche e gruppi di laici che (incredibilmente!) si riuniscono ancora in case private a leggere la Bibbia o Bonhoeffer; Una serie di organismi collegiali rappresentativi a livello decanale e diocesano, scuole di formazione politica e tanti movimenti ecclesiali, a volte autoreferenziali a volte sinceramente collaborativi; c’è un associazionismo capillare e vivace; c’è una Caritas impegnata nelle frontiere estreme del pianeta, volontariato e ordini religiosi dalle più varie vocazioni, pubblicazioni importanti (da Avvenire a Aggiornamenti Sociali), scuole cattoliche e un insegnamento della religione cattolica di alto livello e stima generalizzata nelle scuole.
Il cardinale Angelo Scola conosce bene queste realtà. Alcune per presa diretta, anche se non necessariamente “up to date”. Non sarà sempre facile. Ci sono rapporti da riprendere, esperienze da scoprire, fili da ritessere. Ha detto: “Chiedo al Signore di potermi inserire, con umile e realistica fiducia, nella lunga catena degli arcivescovi che si sono spesi per la nostra Chiesa”. Questo è molto bello e molto sincero. E a questo suo proposito va dato credito aperto, illimitato. Crediamo davvero che possa trattarsi di una benedizione per Milano e per la Chiesa. Non sarebbe giusto un atteggiamento “conservatore” di fronte a una novità che chiede di essere ascoltata e messa alla prova.
[Ricordiamo ancora qualcuno che – parandosi dietro una cosiddetta “nostalgia” di Montini – nei primi anni del papato di Wojtyla parlava del pontefice come del “polacco”, salvo poi riscoprirlo campione della pace, del perdono, della solidarietà da globalizzare]
Benedetto, dunque, colui che viene nel nome del Signore. E di nessun altro.
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