Corte costituzionale: autonomia differenziata da rivedere
La legge sull’autonomia differenziata, in linea di principio, non viola la Costituzione ma va profondamente rivista. Questa la pronuncia della Corte costituzionale al ricorso di quattro regioni: Campania. Toscana, Puglia e Sardegna. Ne sapremo certamente di più quando si conosceranno le motivazioni della sentenza ma per intanto il testo andrà modificato. Nel contempo è da considerarsi di fatto superato il referendum abrogativo, in quanto la norma dopo il responso della Consulta non è più quella originaria. Essendo stata sostanzialmente rigettata nei suoi caratteri principali.
Sarà quindi compito del Parlamento riprendere in mano il testo sull’autonomia che, lo ricordiamo, nasce come norma attuativa di quanto previsto nel Titolo V della Costituzione che consente alle Regioni di ampliare le proprie attribuzioni in un certo numero di materie sottoposte a competenza concorrente tra la potestà legislativa statale e quella regionale. Modello nel quale Stato fissa i principi generali e le Regioni intervengono con proprie norme di dettaglio.
Tra le materie spiccano snodi importanti come sanità, istruzione, energia, trasporti, ecc.. Competenze che qualora trasferite meccanicamente per intero alle Regioni darebbero vita ad un sistema normativo privo dell’indipensabile unitarietà su scala nazionale. In gioco vi sono ambiti estremamente delicati come la scuola o la tutela della salute. Ecco perchè risulta imprescindibile, prima del via libera all’autonomia, predeterminare i cosiddetti Livelli essenziali delle prestazioni (Lep): indici di riferimento per fornire in maniera uniforme i corrisponenti servizi in tutta la penisola. Parametri prestazionali – va rammentato – oggi già esistenti in campo sanitario, con i Lea (Livelli essenziali di assistenza), ma che peraltro, alla prova dei fatti, non stanno funzionando a dovere, come mostrano i forti divari esistenti tra le diverse sanità regionalizzate.
Veniamo adesso ad esaminare le criticità rilevate dalla Corte. Un primo rilievo riguarda proprio i Lep, necessari per garantire gli stessi diritti su tutto il territorio nazionale in materie basilari come sanità, istruzione o trasporti, sancendo che devono sempre essere stabiliti dal Parlamento. Le intese tra Stato e Regioni, su capitoli tanto essenziali per i cittadini, non possono essere lasciate in appannaggio al Governo sotto forma di semplici decreti del presidente del Consiglio ma occorre una legge, ossia un passaggio parlamentare.
La Corte – senza entrare nel merito dei futuri contenuti dei Lep lasciati ovviamente al legislatore – esprime una ben precisa valutazione di metodo. In coerenza con la centralità delle assemblee elettive su cui si fonda il nostro modello istituzionale, solo la sede parlamentare viene considerata idonea all’approvazione di standard e parametri che forte incidenza avranno per la concreta vita delle persone.
Un’altra criticità viene riscontrata sul meccanismo solidaristico insito nel concetto stesso di Lep, in cui manca un preciso vincolo che obblighi a destinarvi le necessarie risorse. Anzi, nello schema attuale, proprio il trattenimento in loco di una maggior quota di imposte da parte delle Regioni che ambiscono ad una più ampia autonomia, rischia di ridimensionare il loro contributo al raggiungimento degli obiettivi di perequazione nazionale.
I giudici costituzionali rilevano che non è comunque ammissibile un completo trasferimento di materie di competenza statale alle Regioni. Ad esse possono venir attribuite nuove funzioni sia legislative che amministrative, fermo restando però la piena titolarità dello Stato sulle materie in cui è chiamato a fissarne i principi generali. La potestà statale deve rimanere intatta al fine di garantire uniformi indirizzi legislativi a livello nazionale volti a salvaguardare l’unitarietà del Paese. Così come è espressamente sancita dalla Costituzione.
Per la sua portata generale, quest’ultimo rilievo chiarisce in maniera univoca il contesto nel quale deve svilupparsi il decentramento dei poteri da collocarsi in un quadro solidaristico e di collaborazione tra i diversi livelli di governo che caratterizzano la nostra democrazia. Tema in più occasioni richiamato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La Corte, pur ammettendo dunque la possibilità di un regionalismo differenziato ne misura la compatibilità con i valori di fondo del nostro ordinamento: in caso contrario ci si trova, per l’appunto, al di fuori del solco costituzionale.
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