Quale pace in Ucraina
Che, a dispetto della pur legittime aspirazioni della Cina, gli Stati Uniti siano la sola vera potenza mondiale da tutti riconosciuta, lo mostra l’attesa, persino un po’ eccessiva, per il debutto del Trump-bis. Molti i temi passati al setaccio in queste settimane di transizione tra l’attuale amministrazione democratica e quella repubblicana, ma certo, a parte la questione dei dazi, il più gettonato resta la guerra in Ucraina. Conflitto che il tycoon promette di far cessare in brevissimo tempo.
Ovviamente, per ora, non è dato di sapere quali siano le sue reali intenzioni. Le scopriremo dal 20 gennaio in poi e vedremo se sarà solo mera propaganda o se si tratta di una proposta ben congegnata. Capiremo soprattutto in che termini verrà posta la questione. Nessun dubbio che si tratti di una matassa difficile da dipanare, da che le parti – Russia ed Ucraina – sono su posizioni inconciliabili e dove qualsiasi ricomposizione richiederà, evidentemente, reciproche concessioni.
Nei giorni scorsi è filtrato un piano russo senza alcun crisma di ufficialità, utile però a farsi un’idea di come si vorrebbe regolare la questione nei desiderata di Mosca. Veniva detto che i territori conquistati (Donbass, ecc…) dovranno rimanere sotto sovranità russa e fin qui nulla di nuovo. Le novità stavano invece nel resto. Nella parte centrale del Paese – la zona di Kiev, tanto per capirci – dovrebbe installarsi un governo gradito a Mosca e la parte ovest dell’Ucraina, se si è ben compreso, sarebbe smembrata e suddivisa tra Ungheria, Romania e Polonia. Ipotesi, quest’ultima, talmente assurda che non vale la pena commentare.
Diciamo intanto che messe le cose in questi termini l’annoso problema “Nato sì, Nato no” sarebbe risolto per consunzione, data la scomparsa dell’Ucraina in quanto nazione indipendente. Non scaturendo da fonti ufficiali questo schema va comunque preso per quello che è: una sorta di ballon d’essai gettato in aria per vedere l’effetto che fa.
Al tavolo delle future trattative, si spera emerga qualcosa di più serio perché questo pseudo piano pare la fotocopia di quello messo in atto dalla Germania nazista nel 1938-39 con la Cecoslovacchia. Dapprima l’annessione dei Sudeti, regione abitata in larghissima parte da tedesca che – va detto per onestà storica – aspirava ad entrare nel Reich, cosa che non accade nel Donbass che, pur russofono, di venir annesso alla Russia non ne vuole sapere. Secondo passo – nel 1939 – fu la creazione a Praga di un governo fantoccio ed infine la Cecoslovacchia fu cancellata dalla carta geografica.
Non possiamo pensare che Putin voglia seguire le orme hitleriane e c’è da credere che le vere proposte per chiudere il conflitto siano qualcosa di diverso dalla traccia forse lanciata da qualche zelante propagandista moscovita. Detto questo rimane ugualmente da domandarsi su quali basi potrà essere costruita una soluzione per far cessare la guerra. Quale sia cioè il punto di caduta accettato da entrambi i contendenti: quel compromesso che possa far dire a ciascuno di aver vinto. O quanto meno di aver guadagnato qualcosa.
Di certo non è immaginabile che la Russia abbandoni i territori sinora occupati e questo indubbiamente significa una sconfitta per Kiev. Per recuperare quelle regioni servirebbe o un collasso russo – vaticinato da non pochi osservatori occidentali ma che crediamo privo di fondamento – o infilarsi in una guerra di portata mondiale. Da escludersi senza se e senza ma. Cosa rimane dunque in campo?
Il solo modo per compensare il probabile sacrificio territoriale ucraino a vantaggio russo è un contestuale ed immediato ingresso di Kiev nell’Alleanza atlantica. A pieno titolo. Uno scambio Nato-territori forse ingiusto per chi è stato invaso ma che rappresenta una vittoria di Pirro per l’invasore che, sperandolo pago delle nuove regioni conquistate, si ritroverebbe con la Nato ai propri confini. Come accade alla frontiera finlandese.
Del resto – diciamo le cose come stanno – solo lo scudo atlantico può costituire l’effettiva garanzia per l’indipendenza dell’Ucraina di fronte a possibili future aggressioni russe. Si tratta, oggi come ieri, di ripararsi sotto l’ombrello Nato. Quello stesso che mezzo secolo fa rassicurava persino il leader del Pci, Enrico Berlinguer: uno che Mosca la conosceva sin troppo bene,
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