Governo Bayrou, fragile come il precedente

Francois Bayrou è stato di parola. Aveva detto di voler regalare ai francesi il nuovo governo per Natale e la promessa è stata mantenuta. Non è poco, ma non è ancora abbastanza, perché il regalo non è immune da brutte sorprese. Se infatti, rispetto al precedente esecutivo guidato da Michel Barnier, quello attuale vede crescere il suo spessore politico per la presenza di due ex premier – Elisabeth Borne e Manuel Valls – non altrettando accade per la sua stabilità. Che è uguale a prima: cioè scarsa. Ancora una volta la tenuta governativa dipende dagli umori – di questi tempi generalmente pessimi – della sinistra e dell’estrema destra. Assieme potrebbero nuovamente votare una censura mandando tutto all’aria. Tutto da vedere dunque il seguito di questa vicenda in cui la tradizionale stabilità della Quinta repubblica viene messa a soqquadro.

In ogni modo, mettendo da parte i pronostici – del resto impossibili a farsi – meglio concentrarsi sulla composizione della nuova squadra di governo. Di fronte a noi si staglia una compagine ricca di esperienza, a cominciare ovviamente dal premier, Bayrou, che bazzica nella politica che conta addirittura dai tempi di Francois Mitterrand. Notevole il contributo in quanto a pratica politica dei due ex primi ministri, Borne e Valls, finiti rispettivamente all’Educazione nazionale e all’Oltremare. Piena conferma poi per il centrista Jean-Noel Barrot agli Esteri e per il repubblicano Bruno Retailleau agli Interni. Quest’ultimo ritrova place Beaveau (il Viminale francese) a prezzo di forti dissensi e contestazioni della sinistra che ne rimproverano il marcato profilo sicuritario. Si potrebbe definirlo un Salvini in salsa transalpina, seppure assai meno dirompente.

In fatto di equilibri politici a guadagnarci sono certamente i centristi che con Bayrou si insediano a Matignon. Piuttosto scontenti i liberal-gollisti. La perdita della premiership – Barnier era uno dei loro – non è compensata dalla ricornferma di Retailleau anche perché si sono visti sfilare un paio di posti chiave. Se nel centro-destra questo è l’andazzo, figuriamoci a sinistra.

Bayrou non è riuscito a coinvolgere il Partito socialista nella nuova maggioranza. Si trattava di staccare i socialisti, con i loro 62 seggi, dal Nuovo fronte popolare di Jean-Luc Melenchon. Impresa non agevole perché, spezzando in tronconi la sinistra nel suo complesso, avrebbe fatto passare per “traditori” i filo governativi. E ben sappiamo come l’estrema sinistra avversi la sinistra riformista persino più che la destra. Un rischio che peraltro dalle parti del Ps non si è voluto correre, anche pensando a future elezioni, perché senza la copertura del Fronte molti socialisti rischierebbero di non essere più rieletti.

Va comunque detto che Bayrou abbia fatto ben poche concessioni programmatiche al Partito socialista né ha mai offerto ministeri di peso. Certo, Valls e Borne appartengono al mondo riformista ma dai socialisti doc sono considerati alla stregua di transfughi, perchè ormai estranei da anni dalla vita del partito. Insomma l’aggancio tra il centrismo e il riformismo di sinistra non è riuscito cosicché il contesto politico risulta decisamente fragile. Grosso modo come succedeva con Barnier, con l’aggravante che i liberal-gollisti, perso Matignon, sono ancora meno disposti verso il nuovo esecutivo.

E dire che la Francia mai come adesso – con un debito pubblico alle stelle e con un’economia da far ripartire – avrebbe bisogno di un patto di legislatura tra destra moderata e sinistra riformista. Eppure quello che in Germania è pane quotidiano, ossia un’intesa tra socialisti e cristiano-democratici, e che in Italia è accaduto in qualche circostanza, in Francia pare impossibile da conseguire. Forse è colpa del maggioritario che mette i partiti uno contro l’altro in modo irriducibile nei collegi uninominali, se le forze politiche sono tanto riottose a qualsiasi compromesso. Chiaro però che pretendendo tutti quanti, destra e sinistra, di imporre il proprio programma come se si disponesse della maggioranza assoluta in solitario, si rischia di mandare in frantumi il quadro politico.

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