Germania al voto anticipato

Se in Austria l’estrema destra guiderà probabilmente il governo con premier Herbert Kickl del Partito della libertà (Fpo), in coalizione con i Popolari dell’Ovp, in Germania, a poco più di un mese dal voto, Afd (Alternative fur Deutschland), destra estremista tedesca, sembra in grado di conseguire un buon risultato. I sondaggi la quotano oltre il 20 per cento, sopra i socialdemocratici della Spd.

Elezioni da seguire dunque con molta attenzione quelle tedesche del prossimo 23 febbraio. Una tornata in anticipo, rispetto alla scadenza naturale, dopo lo sfaldamento del “semaforo”, la coalizione giallo-rosso-verde che a ben vedere non ha mai mostrato di funzionare a dovere. Troppo forti le divergenze tra i liberali della Fdp (i gialli) e gli ambientalisti. La sensibilità ecologica dei verdi e il liberismo economico targato Fdp, per coesistere in modo proficuo, avrebbero avuto bisogno di una sintesi che solo i socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz avrebbero potuto fare. Proprio questa è invece mancata. Troppo debole la leadership di Scholz.

Cosicché, alla lunga, i dissidi hanno preso il sopravvento. Inevitabile, a quel punto, la crisi di governo. Il licenziamento di Christian Lindner, ministro dell’Economia nonché leader Fdp, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Caduta la maggioranza del “semaforo” non è stato possibile dar vita ad un’altra coalizione, come sfiducia costruttiva vorrebbe, per il semplice fatto che questa nuova maggioranza al Bundestag non c’era. Crollati al minimo storico nella tornata del 2021, i cristiano democratici della Cdu non avevano seggi sufficienti per aggiungersi a quelli liberali, loro tradizionali alleati, per allestire una compagine di centrodestra ed evitare il voto anticipato.

Germania quindi alle urne a fine febbraio. È la quinta volta che i tedeschi sono chiamati al voto prima della scadenza naturale della legislatura che, per inciso, in questo caso avrebbe avuto termine in settembre. Appena sette mesi dopo. Quinto voto anticipato, dopo quelli del 1972, del 1983, del 1990 e del 2002. In tutte le votazioni si ritrovò sempre riconfermato il governo che aveva condotto alle elezioni.

Il socialdemocratico Willy Brandt nel ’72, per consolidare la Ostpolitik, cioè l’apertura verso la Germania Est. Il democristiano Helmut Kohl sia nell’83 che nel ’90. Nel primo caso per sancire la neonata intesa con i liberali che sei mesi prima, mollando la Spd, lo avevano incoronato cancelliere. Nel secondo caso per capitalizzare il credito ottenuto con l’ormai prossima riunificazione. Nel 2002 fu Gerhard Schroder, a giocare la carta del voto per sfruttare il momento politico a lui favorevole. Operazioni riuscite in tutti e quattro i casi.

Diverso invece il frangente attuale dove si va alle urne con una crisi conclamata e dove le speranze per Scholz di tornare in sella sono davvero minime. A meno che l’intero fronte progressista – Spd, Linke e Verdi – non faccia l’exploit. Magari con il successivo apporto di Bsw, la formazione di estrema sinistra capitanata da Sahra Wagenknecht. Contesto che comunque i sondaggi – da prendere peraltro sempre con le molle – paiono escludere. Tutto sembra preludere ad una vittoria della Cdu, con Friedrik Merz prossimo cancelliere. Il recupero cristiano democratico è dato per certo. Meno certo il consenso dei liberali che potrebbero non raggiungere la soglia del cinque per cento indispensabile per entrare in Parlamento. In ogni caso Cdu e Fdp per formare un governo dovrebbero disporre assieme della maggioranza assoluta. Esito, come si diceva, tutt’altro che scontato.

Scartata qualsiasi ipotesi di accordo della Cdu con l’estrema destra dell’Afd, rimangono in campo due possibilità. Una grande coalizione Cdu-Spd, toccasana sempre a disposizione per i tempi grami, o un’intesa – novità assoluta – tra Cdu e Verdi. Un bicolore nero-verde già collaudato in un paio di lander con risultati non disprezzabili. Trasporre su scala nazionale un’alleanza regionale comporta sicuramente dei rischi e non va sottaciuto che le differenze tra i due possibili partner sono notevoli. Specie sulle questioni economiche. Ma in politica, si sa, la necessità aguzza l’ingegno. E alla Cdu – come a qualsiasi formazione democristiana che si rispetti – non manca certamente quel pragmatismo di cui sono carenti i liberali della Fdp. Per cui, a certe condizioni – cancelleria nelle mani Cdu e qualche spruzzata di ambientalismo, tra energie rinnovabili ed auto elettrica – tutto potrebbe risolversi. Ovviamente si tratta di speculazioni politiche tutte da verificare. Gli scenari sono grosso modo quelli descritti, poi – non c’è bisogno di dirlo – sarà il voto dei cittadini a decidere.

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