Germania: sulla difesa, prove di grande coalizione Cdu-Spd

La Germania si avvicina alla Grande coalizione tra i democristiani della Cdu e i socialdemocratici della Spd sfatando il tabù del debito. E dei giorni scorsi infatti la modifica della Costituzione che abolisce l’articolo nel quale era fissato un limite massimo del deficit pubblico allo 0,35 per cento del Pil. Su 733 deputati del Bundestag, 513 si sono detti favorevoli alla riforma mentre 207 sono stati i contrari. Compatto il voto della Cdu, seguita a ruota dalla Spd e dai Verdi secondo i quali, in prospettiva, la rimozione del vincolo potrebbe accrescere la capacità di spesa su welfare ed ecologia. Per ora di queste voci si parla poco, perché tutta l’attenzione si concentra sulla difesa.

L’eliminazione del tetto di spesa, nelle intenzioni del cancelliere in pectore Friedrich Merz, servirà quasi esclusivamente a coprire i futuri investimenti pubblici nella difesa. Dopo il preannunciato disimpegno americano dalla Nato, la parola d’ordine a Berlino è l’avvio di un programma di riarmo in modo da rendere l’Europa indipendente dagli umori di Washington, nell’affrontare la sfide mondiali.

La Germania si allinea pienamente al cosiddetto Re-arm Europe, il piano di Ursula Von der Leyen sulla difesa del continente. Difficile, allo stato attuale, prevedere come si conformerà la struttura difensiva europea anche in termini di coordinamento sovranazionale. Per intanto i singoli Paesi si muovono separatamente. In questo senso la Germania, poco gravata dal peso del debito pubblico che affligge quasi tutti gli altri Stati dell’Unione, dirotterà verso il settore militare un’ampia fetta di finanziamenti pubblici. Obiettivo è di portare le spese militari al due per cento del Pil o addirittura al tre, come avanzato dal ministro della Difesa, Boris Pistorius (Spd). Un tema quello della difesa che, pur con qualche lieve differenza, trova dunque piena condivisione tra Cdu e Spd. Più che mai la “grande coalizione” è nuovamente alle porte. Come nell’era Merkel.

D’altronde è l’esito stesso delle elezioni a permettere soltanto questa formula. A meno di non volere fare entrare nei giochi l’estrema destra dell’Afd. Ricordiamo infatti che il voto – segnato da un’eccezionale affluenza alle urne (quasi l’84 per cento) – ha premiato la Cdu di Merz che con il 28 per cento dei suffragi, ha ottenuto 208 seggi, divenendo forza di maggioranza relativa. Un risveglio elettorale, dopo la disastrosa prova del 2021, sebbene risultino ancora lontani i fasti dei decenni scorsi, quando i democristiani veleggiavano attorno al 40 per cento. Del resto, diversamente dal passato, ad erodere consensi sul fianco destro della Cdu si è ormai installata l’Afd che ha raddoppiato i propri voti: dal 10 al 20 per cento, conquistando 152 seggi. Terzi, con il 16 per cento e 120 seggi, i socialdemocratici del dimissionario cancelliere Olaf Scholz. Arretramento anche per i Verdi mentre ha ripreso quota la sinistra radicale (Linke) a scapito dell’altra formazione di ultrasinistra, la Bsw rimasta fuori dal Bundestag. Stessa sorte per i liberali della Fdp, fermi al 4,33 sotto lo sbarramento del 5 per cento indispensabile per disporre di una rappresentanza nell’emiciclo.

L’assenza dal Parlamento della Fdp, fa perdere alla Cdu il suo più naturale alleato, cosicché la sola strada praticabile risulta un accordo con la Spd. Difesa a parte, le trattative tra le due formazioni restano irte di scogli, in particolare sull’immigrazione e sulla politica economica. A Berlino non si è comunque nuovi a Grandi coalizioni e un’intesa, alla fine, sarà trovata, facendo probabilmente leva sull’ala centrista della Spd. Come in passato, anche questa volta verrà stipulato un “contratto di legislatura” molto preciso e dettagliato sulle misure da intraprendere. Di una cosa si può esser certi: la Germania di Merz – in linea con la miglior tradizione di Helmut Kohl e di Angela Merkel – sarà solidamente ancorata all’Europa. Un buon viatico per il futuro del vecchio continente.

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