Gerusalemme stupisce sempre
Gerusalemme è sempre capace di stupire. La città che ha visto nascere le tre grandi religioni monoteiste e che ne rappresenta la culla identitaria, si presenta agli occhi di chi passeggia all’esterno delle sue mura in una tarda serata di giugno come una laica metropoli capace di strizzare l’occhio alla modernità e di stare a ruota con la movida di altre latitudini.
Dietro ogni angolo si respira però il sapore delle differenze e la necessità di rimanere aggrappati a una tradizione che chi vive qui sperimenta come ineliminabile condizione di vita. Accanto a ebrei ashkenaziti che ostentano la lo loro identità anche nel vestiario, passano ragazzini palestinesi che non hanno nulla di diverso dai chiassosi coetanei italiani, oppure donne con il velo che non nascondono il trucco e chiacchierano al cellulare, o ancora anziani che passeggiano interrogandosi sul futuro di una città che ormai faticano a riconoscere come loro. Questo intreccio di odori, tradizioni, fedi e modernità propone ulteriori elementi di stupore per chi arriva in città nella presenza dei luoghi santi che, meta di pellegrinaggio per i cristiani, qui sono considerati come sede di riti che a noi occidentali paiono routinari e ostentati e come memoria di una storia che non può staccarsi dalle pietre di Gerusalemme.
Nella suggestione di un Santo Sepolcro semi deserto e aperto tutta la notte per la solennità del Corpus Domini, si coglie tutto il significato di un cristianesimo vissuto con la serenità di chi sa di essere minoranza politicamente e socialmente ininfluente, ma si percepisce come fondamentale per l’anima e il futuro di questi luoghi.
L’incontro con padre Pierbattista Pizzaballa, francescano Custode di Terra Santa, ci conferma nell’impressione che la pace per questi luoghi sia ancora lontana, ma che il cambiamento non stia lasciando indenne il Medio Oriente. Ad un Israele che non può che difendere con le armi in pugno la propria esistenza, ma che si accorge preoccupato e impreparato che il vento della protesta pacifica sta squassando il mondo arabo, fa da contrappunto una Palestina in cui la rassegnazione sembra ormai prevalere sulla voglia di lottare. E il nuovo avanza, con giovani che si sentono sempre meno legati alle tradizioni dei padri, anche dal punto di vista religioso, ma che crescono nella consapevolezza (o nell’illusione) che l’odio reciproco debba essere una sorta di condanna inevitabile.
Eppure Gerusalemme rimane una città che stordisce e affascina, una città in cui per i cristiani è sempre più difficile vivere, ma che non può fare a meno di loro se non vuole perdere la propria anima. Da lontano tendiamo a giudicare e a sputare sentenze, respirando l’aria di qui si coglie come tutto sia più maledettamente complicato e come ciascuno di coloro che hanno la fortuna o la condanna di vivere in questa città non possa che portare in sé tutte le contraddizioni che la animano. Il Custode sa che i cristiani che lui rappresenta sono ininfluenti dal punto di vista politico, ma testimonia anche la necessità che continuino a vivere qui da minoranza fondamentale per la storia, il futuro e, mi si passi il termine, il destino di Gerusalemme. Chi si reca in questi luoghi, qualunque sia la sua condizione e la sua intenzione, non può che calarsi nei panni del pellegrino e, anche se distratto, non può che essere catturato dal fascino doloroso della città. E’ giusto che la politica si faccia domande e cerchi compromessi, ma la forza misteriosa di Gerusalemme città perennemente in bilico tra storia, spiritualità e modernità pare davvero molto più grande di qualunque progetto umano.
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