Cose importanti, in breve
Il vescovo Angelo: da Sant’Anatalone all’apologia del rischio
Prima di accingermi a scrivere queste note, confesso di aver fatto una ricerca per saperne di più su Sant’Anatalone, più volte citato dal cardinale arcivescovo Angelo Scola nelle sue prime uscite pubbliche (la solenne celebrazione in Duomo per il suo ingresso in Diocesi cadeva proprio il giorno dedicato al santo). Trattasi del protovescovo milanese risalente a tempi apostolici: sarebbe stato inviato in queste terre addirittura da Pietro o da Barnaba, i dati storici sfumano nella leggenda. Ciò non toglie nulla alla grandezza di Ambrogio, che rimane comunque il “fondatore” riconosciuto della Chiesa, appunto, ambrosiana, ma spinge indietro la realtà di fede di Mediolanum in modo significativo.
Detto questo, credo che sia opportuno dare conto delle parole finora da lui pronunciate, soprattutto nell’incontro con i rappresentanti della cultura e della comunicazione. Attraverso il racconto di una escursione in Grigna, di quel suo timore nel compiere un salto di qualche difficoltà, la necessità vitale di “vedere” il punto di appoggio, è venuta una coraggiosa “apologia del rischio”, che è “carattere strutturale della libertà”. Tanto più in una “situazione fluida” come quella attuale, in una “società plurale” in cui ci troviamo a vivere. Identificare l’universale che ci accomuna, lavorare per scelte politiche condivise per il bene comune. Parole che di questi tempi assumono un significato impegnativo e serio.
Ha parlato di un appassionato confronto in vista del riconoscimento reciproco con le varie realtà che costituiscono ormai la nuova realtà antropologica di Milano. Accettare di essere insieme fra diversi, raccontarsi e lasciarsi raccontare, accettando anche di essere fraintesi. Ha parlato di “compromesso nobile” (ricordando che compromesso viene da “cum-promitto”, che presuppone quindi ben più – o ben altro – di un generico accordo spartitorio).
Si è detto un vescovo inviato a Milano. Si definisce un “vescovo preso qui a servizio”, che intende mettere la Chiesa ambrosiana (da intendersi non come “un uomo solo al comando”, ma come realtà collegiale) a servizio di ogni uomo e ogni donna. Una Chiesa che abbatta i bastioni, che deve accogliere i cittadini di oggi e soprattutto quelli di domani (le nuove generazioni multicolore che affollano le nostre scuole), e proporre a tutti con coraggio un senso (che vuol dire significato e direzione) alla strada che compiamo insieme agli altri, a tutti gli altri, al di là delle possibili incomprensioni. Qui si sta parlando di “scelta politica”, con i rischi e la bellezza che tutto questo comporta.
Buon lavoro, vescovo Angelo.
Carlo Marx è superato, eppure…
Raramente come nel corso del varo delle manovre economico-finanziarie di questa estate mi era apparso evidente che nel nostro Paese fosse in corso quello che con termine marxiano può essere definito uno “scontro di classe”. Nel senso che raramente si è discusso così apertamente su “chi paga” i necessari passaggi per raddrizzare i conti pubblici e avviare possibimente una ripresa. Con schieramenti “trasversali”, con dislocazioni inedite, con richieste da parte di alcuni privilegiati di procedere pure alla tassazione di patrimoni e rendite. E con il governo della Repubblica che decide di reperire i fondi in alcune tasche e non in altre.
Proprio in queste settimane mi è capitato fra le mani un fascicolo che raccoglie le pubblicazioni di “Operare”, la rivista dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) di Milano, nel suo quarto anno di vita, sotto la direzione dello storico bustese Pio Bondioli. Correva l’anno 1948, anno di grandi svolte e decisioni, anno di ripresa della vita democratica del Paese dopo la tragedia della guerra.
Nel numero di gennaio-febbraio compare un articolo, dello stesso Bondioli, dal titolo “Attualità di Carlo Marx”. Nello scritto – dopo aver richiamato l’uso politico e propagandistico degli scritti del filosofo di Treviri, le numerose revisioni delle sue analisi “datate”, della diversa evoluzione che la storia ha preso, soprattutto nel Novecento (da una parte la rivoluzione bolscevica in un Paese arretrato e dall’altra le mutazioni del capitalismo per adattarsi ai cambiamenti geopolitici) – si riporta il pensiero di monsignor Francesco Olgiati e l’analisi del periodico socialista Critica Sociale pubblicata nel centenario del Manifesto del partito comunista di Marx-Engels. Sorprendentemente tutti e due gli scritti contengono un passaggio molto simile: nel primo caso, “Si può gettare a mare la teoria merxista della realtà come prassi, la tesi del valore, del plusvalore e del sopralavoro, le stesse profezie di Marx: eppure resta qualcosa”; nel secondo caso, “…non c’è neppure uno tra i problemi esposti del Manifesto che nel corso di questi cent’anni non si sia a tal punto complicato da richiedere una messa a punto che implica spesso un lungo discorso e counque una visione critica. Eppure…”.
Quel doppio “eppure”, che significa? Olgiati si chiede perché il lavoratore, nonostante capisca poco di filosofia della prassi e di economia politica, rimane istintivamente legato al “senso” dello scontro di classe: “Marx significa per lui la necessità di risolvere la questione sociale, di instaurare un nuovo ordinamento economico in cui siano abolite tutte le ignominie della società capitalistica, un’epoca futura nella quale non sia una parola vuota di senso l’equa ripartizione della ricchezza tra quanti concorrono a produrla, un avvenire che conceda al lavoratore, alla famiglia, ai membri della collettività una condizione economica degna della dignità umana”. E ancora: “La conclusione è esatta e va ben meditata da chi, per posizione e cultura, è in grado di comprenderne il senso e sente il dovere di collaborare alla riforma delle strutture economiche capitalistiche”.
Non c’è molto da aggiungere.
Ricordando Giancarlo
Ho avuto la fortuna (e l’onore) di conoscere Giancarlo Zizola negli anni Settanta, quando lavorava a “Il Giorno” durante la direzione di Gaetano Afeltra, quella che lo costrinse – dopo anni ricchi ma anche difficili – a cambiare testata. E poi l’ho rivisto tante e tante volte, seguendo il suo lavoro scrupoloso di “vaticanista” (ma il termine per lui è davvero stretto) e ancora di più discutendo con lui e leggendo poi le sue analisi sulla Chiesa: la missione dell’Annuncio, il versante istituzionale (con le derive frequenti e forse inevitabili), le grandi trasformazioni portate dal Concilio e poi dal lungo pontificato di Karol Wojtyla (il carisma e il neo-centralismo). E poi le più recenti caratteristiche incarnate da Benedetto XVI. Mai banale, spesso controcorrente, capace di analisi attente al dettaglio ma inserite sempre in un contesto mondiale.
Aveva sottoposto anche a intelligente critica proprio il lavoro del “vaticanista”, indicando la necessità di aprire le finestre alle altre religioni, al vento dello Spirito che soffia dove vuole e invita a riconoscere i fermenti dovunque si manifestino. Il suo cuore si è fermato mentre era impegnato a verificare sul campo la possibilità di uomini di fede non solo di parlarsi (lo si fa già da tempo in tanti convegni…), ma di ascoltarsi e pregare insieme, di prendersi reciprocamente sul serio. Era a Monaco, ma con lo sguardo già ad Assisi. Grazie, Giancarlo.
A proposito di piccole/grandi riforme
Non è facile inserirsi nel dibattito sulle riforme costituzionali e sul sistema elettorale per il Parlamento, dal momento che quest’ultimo dipende, in definitiva, dalla struttura delle Camere, dal numero dei loro componenti, dai collegi elettorali. Quasi ogni giorno vengono lanciate nuove proposte, spesso in contraddizione fra loro, scoordinate, raffazzonate, improvvisate. Giorni fa Michele Ainis sul Corriere della Sera ricordava che solo nel 2011 sono già stati depositati 59 disegni di legge costituzionali (371 dall’inizio della legislatura). Una vera abbuffata. O magari un polverone che di fatto impedirà qualsiasi discussione seria e qualsiasi decisione. Un Parlamento di “nominati”, poi, che si sono fatti beccare con le mani nella marmellata per quanto riguarda i tagli (?!?) ai compensi, che garanzie può dare?
Mi limiterò, quindi, a esprimere qualche considerazione del tutto personale.
1) Continuo a trovarmi d’accordo con il professor Sartori per quanto riguarda il sistema elettorale, e esprimo la mia preferenza per il metodo francese del doppio turno, che permette ampia scelta alla prima tornata e impone poi una scelta al ballottaggio.
2) Sono d’accordo sulla necessità che a decidere sia il Parlamento. Devo però aggiungere che di fronte alla paralisi, ben venga il referendum che cancelli gli effetti più nefasti del “porcellum”, così da costringere le Camere a darsi la sveglia.
3) Perché non si mette alla prova la buona fede della maggioranza, chiedendo di collegare al ddl costituzionale anche il sistema elettorale?
La politica, il Ramadan e la laicità: dov’è il problema?
Colpisce il fatto che abbia provocato reazioni polemiche il semplice annuncio della giunta Pisapia di rendersi presente, di fare visita alla comunita’ musulmana di Milano in occasione della festivita’ di Id al-Fitr, la conclusione del Ramadan. E’ strano perche’ semmai la anomalia c’era prima quando, contraddicendo il dettato costituzionale e – per i credenti – i deliberati del Concilio Vaticano II, non si riconosceva pari dignita’ alle diverse fedi religiose presenti in citta’.
Si dice: e’ “mancanza di laicita’”. E questo da parte di chi e’ pronto a imbracciare il crocefisso come un’arma… Ma poi, la classe politico-amministrativa non e’ (giustamente) presente in massa, ormai da decenni, alla veglia di Sant’Ambrogio per il “discorso alla citta’” dell’arcivescovo? O il primo gennnaio alla “Giornata della pace”? Non e’ da questo – ci pare – che possa essere misurato il tasso di laicita’.
A Milano dal 2006 esiste un Forum delle Religioni (ma il processo di reciproco riconoscimento, rispetto e dialogo era in corso dagli anni 80, divenuto piu’ accelerato dal 2000) a cui partecipano cristiani di varie denominazioni (esiste un Consiglio delle Chiese Cristiane, che ne riunisce 18), ebrei, musulmani e buddisti. C’e’ gia’ insomma un “vissuto” che la societa’ civile ha accolto e accompagnato. Ora si muove l’amministrazione comunale, che dei cittadini e’ rappresentanza. Benvenuti!
Su questo terreno siamo certi che il nuovo arcivescovo che prendera’ possesso della Diocesi in settembre – il cardinale Angelo Scola – non avra’ tentennamenti, vista l’esperienza di dialogo sviluppata a Venezia. Spiace per coloro che finiranno per autoisolarsi, ma forse l’esperienza della solitudine (di tante solitudini, anche se riunite in Lega) puo’ rivelarsi provvidenziale al fine di sforzarsi e capire che il mondo e’ cambiato e cambia, e richiede una globalizzazione anche della solidarieta’ e della fratellanza.
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