La lezione del cardinal Tettamanzi

Con una solenne cerimonia officiata la sera dell’ 8 settembre, festa della Natività di Maria e quindi festa patronale del Duomo di Milano e tradizionale inizio dell’anno pastorale, il cardinale Dionigi Tettamanzi si è congedato dall’Arcidiocesi ambrosiana che ha guidato per nove anni raccogliendo la difficile eredità del cardinale Carlo Maria Martini. Non è un caso che, nella densa omelia di addio, Tettamanzi abbia avuto un ricordo particolare per il suo predecessore, ora gravemente infermo, ringraziandolo per l’ “ammirevole discrezione e il molto affetto”, e rivelando che da lui aveva avuto la prima, e più gradita, telefonata nel giorno dell’addio.
In piccolo, comunque, l’omelia dell’ 8 settembre è stata un condensato della lezione che il Cardinale ha in questi anni rivolto alla società milanese, ad una città, ad una metropoli stanca, disillusa, spaventata da una crisi economica che ha toccato nel vivo tante famiglie soprattutto nelle forme della disoccupazione e della precarietà del lavoro e della vita, giustamente malfidente verso una classe politica che si è persa nelle sceneggiate padronali e nei deliri securitari e xenofobi di Vicesindaci e Assessori che facevano a gara a chi la sparava più grossa e a chi cacciava più zingari ed extracomunitari.
In questo senso è errato affermare come ha fatto una destra stupida e priva di idee che il Cardinale abbia favorito la svolta politica della scorsa primavera: la città era già gravida di quella svolta, il Cardinale ha fatto solo il suo “mestiere” di annunciare il Vangelo e di vivere la carità, e se ai difensori del Crocifisso (che sono anche gli zelanti crocifissori dei tanti poveri Cristi che vivono, o tentano di vivere, nella nostra società) il Vangelo e la carità risultano tanto ostici … beh, forse questo serve a qualificare la loro statura morale ed intellettuale.
D’altro canto Tettamanzi è stato chiarissimo nel delineare la sua concezione dell’annunzio evangelico: “Si annuncia il Vangelo con una vita sobria, con una solidarietà sincera, con la giustizia che onora la dignità personale di tutti, con il coraggio di scelte profetiche. Si annuncia il Vangelo con una vita ecclesiale basata sulla comunione che fonda la collaborazione e suscita la corresponsabilità. Si annuncia il Vangelo rendendo ragione della speranza che è in noi e facendolo davanti al mondo ‘ con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza’ ( 1 Pt 3, 15) non cedendo mai a nessun risentimento, ma divenendo seminatori di gioia e di pace”.
Queste parole non dividono: definiscono. Non c’è bisogno di dire a priori chi sta dentro o fuori da questo perimetro, perché sono i comportamenti di ognuno a chiarire se vi si riconosce o meno, se la sua vita privata e pubblica è ispirata o meno a criteri evangelici.
Le scelte difficili che il card. Tettamanzi ha dovuto compiere in questi anni non sono state poche: qualche osservatore presuntivamente “neutro” ha voluto ridurle alla questione dell’accorpamento di molte parrocchie in “comunità pastorali” e nella nuova definizione del Lezionario ambrosiano. Qualcun altro ha avuto addirittura l’impudenza di attribuire a lui e al suo predecessore il calo delle vocazioni nei seminari ambrosiani, come se quelli delle altre Diocesi traboccassero di candidati al sacerdozio.
In verità il Cardinale si è trovato di fronte a fatti oggettivi, e li ha affrontati con prudenza ed intelligenza: così la scelta della costituzione delle comunità pastorali , per quanto complessa, ha il merito di aprire le parrocchie e le persone che ci vivono alla necessaria collaborazione con le persone delle parrocchie vicine, esortando inoltre i sacerdoti ad una maggiore apertura alla vita comunitaria fra di loro e con i fedeli. Così la scelta del nuovo Lezionario, che ha portato anche alla riforma del calendario ambrosiano, da un lato ha rispettato l’indicazione del Concilio Vaticano II ad aprire ulteriormente lo scrigno del “tesoro della Parola di Dio” a tutti, e dall’altro, recuperando alcune particolarità della tradizione ambrosiana che erano state accantonate nella prima fase della riforma liturgica, ha dimostrato che la vera e grande Tradizione non è quella dei cultori dei merletti, dei manipoli e del latino scolastico, i quali emanano un forte sentore di museo se non di cimitero, ma quella che sa evolvere senza tradire, mettendosi al servizio del Vangelo e non di un’ideologia astratta.
Ecco, questo è un altro grande lascito del Cardinale come emerge dalle sue parole di ieri: “Il nostro Paese – ha detto- ha bisogno di una Chiesa trasparente, che sia madre e maestra, comprensiva ed esigente, pronta solo a servire e non a conquistare, unicamente preoccupata di far incontrare Gesù Cristo mediante la fede e la carità, capace per questo di amare ogni uomo perché figlio di Dio”. Ancora una volta il problema non è quello di stilare la lista dei buoni e dei cattivi, perché è la vita a parlare per le persone: la questione principale è e rimane quella della continua conversione al Vangelo, che nella scena pubblica diventa, anche oltre la dimensione confessionale, la ricerca di una vita degna delle donne e degli uomini che vogliono per prima cosa essere accolti nella loro specifica dignità di persone umane.
All’uomo di grande intelligenza e cultura, al pastore prudente ed attento che gli succederà sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo , il card. Angelo Scola, Tettamanzi lascia una grande eredità pastorale che dovrà essere sviluppata con creatività e fedeltà come è nella natura della vita ecclesiale. Ai credenti e a tutte le persone di buona coscienza e volontà rimangono un esempio ed una lezione che laicamente dovrà essere vissuta nella quotidianità di una città e di un Paese che vogliono emergere dal torpore e dalla vergogna di anni di cinismo e dissipazione.

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