Il lavoro che manca, il lavoro che uccide
L’ opinione pubblica è rimasta colpita dalla strage accaduta il 3 ottobre a Barletta come lo fu nel dicembre 2007 da quella dello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino: temiamo però che a determinare questa emozione sia stato, nell’uno come nell’altro caso, il fatto che siano morte molte persone insieme, mentre lo stillicidio quotidiano di incidenti gravi o mortali sul lavoro – quelle che, chissà perché, vengono chiamate “morti bianche”- passa più inosservato.
E tuttavia, non si può non rilevare come la strage pugliese, quella torinese e quelle che silenziosamente si consumano giorno per giorno siano legate da un filo comune, ossia quello di una precarizzazione del rapporto di lavoro che diventa precarizzazione del lavoro e della vita delle persone. In altre parole, sembra che ormai il lavoro sia diventato merce talmente rara e preziosa da giustificare ogni sacrificio in termini di dignità e di sicurezza, vanificando di fatto il risultato delle grandi lotte del movimento sindacale e le riforme di una politica ancora degna di questo nome per “ridare al povero un volto umano”, come scriveva don Lorenzo Milani.
Se vogliamo, è la stessa logica che è alla base della gravissima crisi finanziaria ed economica tuttora in corso: il venir meno di ogni limite legislativo ed etico alla logica della massimizzazione del profitto, e la subalternità culturale delle forze politiche e sociali che tradizionalmente si sono sempre fatte carico della difesa dei diritti dei lavoratori e delle classi sociali subalterne, se produce rovina economica e disoccupazione per centinaia di migliaia di persone, produce altresì attenuazione delle protezioni a favore di chi si trova in un contesto lavorativo segnato dalla pratica rimozione della presenza di validi strumenti di controllo e di garanzia. E ciò si riflette sulla totalità del sistema produttivo, dalla siderurgia avanzata, come nel caso di Torino, all’ illegalità del bugigattolo di Barletta dove dodici donne in condizioni ambientali precarie, senza contratto e senza tutele confezionavano tute e magliette a meno di quatto euro l’ora.
Consola poco il sapere che, almeno in primo grado, i responsabili della Thyssen-Krupp siano stati condannati a dure pene preventive per le loro omissioni che di fatto si configuravano come una forma di omicidio volontario. Naturalmente anche i tutelari dell’aziendina irregolare di Barletta, già duramente colpiti dalla morte della figlia quattordicenne, dovranno essere chiamati a rispondere delle loro azioni.
Ma per evitare che i processi arrivino poi, a cadaveri già freddi, occorre un serio cambiamento di mentalità, per far sì che il mercato del lavoro esca dalla situazione in cui “ è stato lasciato marcire dai governi e dalle imprese” , come ha scritto Luciano Gallino, producendo “un’ intera generazione oppressa dalla precarietà che lavora quando può, quando riesce a trovare uno straccio di occupazione”.
Se non fosse ulteriormente chiaro, non si sta parlando qui di una vicenda lacrimosa destinata ad esaurirsi appena la fin troppo lacunosa memoria di questo Paese avrà fatto scolorire le terribili immagini delle riprese televisive: no, questa è una questione politica, perché la sicurezza ed il diritto alla vita non sono parole vane da circoscrivere in ambiti ben precisi ma si applicano a tutta l’esistenza umana nel suo complesso, ed in particolare ai luoghi di lavoro, che tanta parte assorbono dell’esistenza di ciascuno di noi. Un lavoro sicuro ed adeguatamente retribuito è il presupposto minimo per poter parlare di piena cittadinanza in una Repubblica che proprio sul lavoro si vuole fondata.
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