Finanzcapitalismo: un rischio per la convivenza civile

Si parla, spesso con grande preoccupazione, del fondamentalismo religioso come di un pericolo per la convivenza civile. Troppo poco si dice invece, di un altro fondamentalismo: quello finanziario che, a ben vedere, per i danni che sta producendo al tessuto economico e sociale, dovrebbe allarmare assai più del primo. Esso si caratterizza per la supremazia della finanza sull’economia reale, per cui la speculazione finanziaria conta più della produzione di beni e servizi per la collettività. E ciò accresce diseguaglianze e storture sociali, senza che la politica riesca a porvi rimedio.

Siamo di fronte a quello che il sociologo Luciano Gallino ha chiamato “finanzcapitalismo”, il cui unico scopo è massimizzare il valore estraibile dal sistema economico, mettendo in secondo piano tutto il resto, a cominciare dai diritti della persona umana, per lo più ricondotta a mero fattore della produzione. Motore del sistema è l’estrazione di valore, processo ben diverso dalla produzione di valore. Si produce valore quando si costruisce una casa, si elabora una nuova medicina o si crea un posto di lavoro retribuito. Per contro si estrae valore quando si provoca un aumento del prezzo delle case manipolando i tassi di interesse; si impone un prezzo artificiosamente alto alla nuova medicina; si aumentano i ritmi di lavoro a parità di salario.

Questo predominio finanziario non è nato per caso, ma è l’effetto delle politiche di deregulation che hanno abbattuto le barriere al movimento dei capitali ed hanno favorito fiscalmente la rendita speculativa. Come una sorta di apprendista stregone il mondo politico ha dato la stura ad una finanza onnipotente che oggi ha preso il sopravvento su tutto. E’ come se la politica avesse identificato i propri fini con quelli dell’economia finanziaria, adoperandosi con ogni mezzo per favorirne l’ascesa.

Perchè è accaduto? Difficile dirlo con esattezza. Certo è che la deriva neoliberista su cui, nell’inerzia o con la complicità della politica, si è poi innestata la finanziarizzazione selvaggia dell’economia, è più o meno cominciata con il crollo del sistema comunista. Nessuno rimpiange quei modelli collettivistici che opprimevano la persona umana, ma forse proprio la mancanza di qualsiasi altro concorrente ha indotto le forze del capitalismo ad esaltare oltre misura  rendita e profitto. Fino a farli divenire una sorta di variabile indipendente, da massimizzare sempre e comunque, anche a scapito di tutto il resto. E tutto il resto si chiama sanità pubblica, previdenza, rispetto dell’ambiente o diritti dei lavoratori.

I dati di questa supremazia della finanza sono evidenti. Nel 1980 gli attivi finanziari erano pari al Pil mondiale; oggi valgono quattro volte il prodotto lordo dell’intero pianeta. Si è finito per snaturare il senso stesso dell’attività economica. Conta infatti sempre più il valore dell’impresa in borsa che non la sua produzione manufatturiera (fatturato, occupazione, ecc..). Tutto si fonda sulla quotazione sui mercati, il cui indice, spesso sganciato dal dato reale, si incrementa magari con arrischiate ed oscure manovre speculative. Fino al paradosso estremo delle aziende che si ristrutturano licenziando migliaia di lavoratori e che vedono, nel contempo, salire il titolo.

Come uscirne? Di certo serve un’azione politica che ponga delle regole all’attuale strapotere della finanza, promuovendo poi una serie di riforme che vanno dalla tassazione delle transazioni finanziarie al ripristino dell’imposta di successione, ad aliquote fiscali che premino i redditi da lavoro rispetto a quelli da capitale. Per farlo occorre però muoversi su scala sovranazionale, almeno a livello europeo, poiché i singoli Stati, specie quelli europei, ormai non hanno forza sufficiente

Si tratta di invertire quell’enorme trasferimento di reddito dal basso verso l’alto cui stiamo assistendo in questi anni. Un fenomeno distorto che arricchisce poche persone impoverendo i più, in un mondo del lavoro sempre più precario nel quale vengono messi in discussione diritti conquistati da decenni. Un cammino che ci sta conducendo verso insostenibili logiche plutocratiche. Adesso è tempo di cambiare rotta, perché in gioco c’è l’essenza stessa della nostra società: la sua tenuta democratica, la sua coesione sociale, la sua convivenza civile.

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