Con Dio e con gli uomini

E’ difficile inquadrare la figura umana e sacerdotale di don Luisito Bianchi, morto a 85 anni alla vigilia dell’Epifania, soprattutto perché fu lui a cercare in ogni modo di evitare di farsi inquadrare in un cliché qualsiasi, riuscendovi peraltro perfettamente. Nello stesso tempo egli non amava l’etichetta dell’ “irregolare”, perché subodorava come essa molto spesso fosse una specie di comodo rifugio, di conformismo al contrario che era completamente distante dalla sua mentalità.
Si può dire che egli sia stato un uomo segnato da grandi avvenimenti storici che non visse passivamente ma che interpretò con larghezza di spirito e profondità di intelletto, a partire dalle sue origini contadine, dalla Resistenza, che egli rese magistralmente in quello che probabilmente rimane uno dei più bei romanzi dedicati a quell’evento tragico e glorioso “La messa dell’uomo disarmato”, e poi la lunga frequentazione delle ACLI, prima come assistente provinciale a Cremona, dove collaborò con quella figura singolare di dirigente ed intellettuale autodidatta che fu Enrico Anelli, con il quale condivideva le radici contadine e la passione religiosa e civile. Successivamente, chiamato da mons. Cesare Pagani, don Luisito si trasferì a Roma nell’ Ufficio assistenti nazionale proprio nell’ultima fase della celebrazione del Concilio Vaticano II .
In quel periodo egli, insieme ad altri sacerdoti e a dirigenti e collaboratori delle ACLI nazionali, fu uno degli animatori dell’esperienza di Ora Sesta, un gruppo informale di credenti che cercava nella preghiera e nella riflessione sulla Parola le modalità di un nuovo impegno nella storia degli uomini attraversata da tensioni sempre più forti.
Fu così, anche per qualche malinteso con mons. Pagani, che egli maturò la scelta di vivere l’esperienza del lavoro manuale pur rimanendo nella sua condizione di sacerdote, divenendo operaio in una grande azienda di Alessandria e successivamente infermiere in un ospedale milanese. Di quell’esperienza, soprattutto di quella della fabbrica, don Luisito ha lasciato viva testimonianza in alcune sue opere – in particolare “Come un atomo sulla bilancia” e “I miei amici”, che raccoglie il suo diario personale di quegli anni- evidenziando un duplice disagio: da un lato, l’incomprensione della Gerarchia ecclesiastica che, pur tollerando l’esperimento, non ne coglieva l’importanza come via di un possibile ripensamento del ruolo del sacerdote nella vita della Chiesa e della società. Dall’altro, lo convinceva poco la torsione ideologica di frange consistenti del movimento – allora rigoglioso- dei preti operai dei quali si considerò compagno di strada più che membro a pieno titolo.
A lui interessava essenzialmente poter testimoniare quello che era il nocciolo del suo pensiero, maturato progressivamente a partire dalle parole di Gesù: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8), che per lui simboleggiavano l’impossibilità di una concezione mercificata dei sacramenti – ai quali appassionatamente credeva- e, di conseguenza, di una concezione del ruolo del prete come quello di impiegato di una struttura burocratica. Per questo, pur rinunciando al lavoro subordinato, egli volle sempre vivere dei suoi scritti e delle sue traduzioni, e quando si ritirò all’Abbazia di Viboldone egli non volle mai essere concepito nel ruolo formale di cappellano delle monache benedettine che ivi risiedono, ma semplicemente come un presbitero che condivideva la loro vita di preghiera amministrando in tutta semplicità – e libertà e povertà- i sacramenti. In effetti, la Messa che lui celebrava alle 10 di ogni domenica mattina era un richiamo per molte persone, e sarebbe importante che qualcuno raccolga e pubblichi i suoi commenti alla Parola.
Se è consentito un ricordo personale, ebbi modo di incontrarlo da vicino nel dicembre del 2005, intervistandolo per il “Giornale dei lavoratori” sul senso della sue esperienza . Mi limito a riportare alcune battute: “Dei beni spirituali e materiali che ha ricevuto nel tempo la Chiesa non è proprietaria, ma amministratrice, a favore dei poveri …. La Chiesa ha ricevuto, e ogni giorno consacra, il Corpo vivo del Signore Gesù, non una dottrina arida, ma una Parola ed un Corpo. Vorrei che la Chiesa sentisse la propria struttura visibile come un limite, e che non annunci se stessa, ma Colui che l’ha mandata, senza pretendere di incanalare lo spirito… Mi piacerebbe che le ACLI sapessero farsi interpreti di una Chiesa non solo dei poveri ma anche povera, che faccia della gratuità la sua divisa, il suo modo d’essere”. E accompagnandomi all’uscita, con un sorriso: ”In fondo io non ho mai fatto nulla da me, sono stato portato per pura grazia”.
Ora che è entrato nel grande Mistero d’ amore, don Luisito potrà gustare fino in fondo la pienezza di questa Grazia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.