Oscar Luigi Scalfaro: un grande presidente
Con Oscar Luigi Scalfaro, scomparso a 93 anni, l’Italia perde uno degli ultimi protagonisti dell’Assemblea costituente e, soprattutto, il presidente della Repubblica che, durante il proprio mandato, si trovò a fronteggiare la più grave crisi politica della nostra storia democratica. Erano gli anni di Tangentopoli, con il crollo di un’intera classe dirigente, e dell’assalto della mafia al cuore dello Stato, con gli assassini di Falcone e Borsellino.
Scalfaro ascese al Quirinale proprio due giorni dopo la strage di Capaci, dopo quindici scrutini andati a vuoto per i veti incrociati, in una disfida Dc, tra Andreotti e Forlani. Lo sgomento per la tragica fine di Falcone e della sua scorta pose fine ai tentennamenti e la classe politica, una volta tanto largamente compatta, si affidò a Scalfaro un democristiano atipico, estraneo ai giochi delle correnti interne al partito. Qualcuno lo definì il Pertini cattolico ed in effetti la tensione etica che, da sempre, animava il suo impegno politico, lo rendevano un po’ la coscienza di una Dc, più che mai impelagata nella questione morale.
“Un moderato di cui fidarsi” titolò un corsivo del quotidiano comunista L’Unità il giorno successivo alla sua elezione. Mai parole si rivelarono tanto esatte e veritiere. Nel suo settennato il moderato Scalfaro tenne ben saldo il timone a difesa della Carta costituzionale e a presidio delle istituzioni repubblicane. Attorno a lui intanto infuriava la tempesta. Venuti meno, sotto il peso delle tangenti, i vecchi partiti che avevano costituito l’ossatura della prima Repubblica si stava entrando nell’era del maggioritario, aprendo la strada ad uno strano bipolarismo in cui, in entrambe le coalizioni, prevalsero sin da subito le forze più estremiste. Invece che ad un’alternanza all’europea assistemmo ad una sorta di contrapposizione frontale tra i due schieramenti in campo. Un clima che trovò il suo massimo interprete in Silvio Berlusconi.
Secondo il Cavaliere, divenuto nel frattempo Primo ministro, il successo nelle urne lasciava le mani totalmente libere alla maggioranza uscita dal suffragio universale. Un plebiscitarismo completamente in antitesi con la democrazia parlamentare dei pesi e dei contrappesi. Qualcosa contrario alla democrazia, tout court. Contro questa concezione distorta si pose con tutta la sua autorevolezza proprio Scalfaro. Il Presidente, nel suo ruolo di garante delle istituzioni, difese in ogni occasione la centralità del Parlamento rispetto a letture distorte nel segno di uno pseudo presidenzialismo da ritrovarsi nella prassi della cosiddetta seconda Repubblica.
Scalfaro scese poi nuovamente in campo nel 2006 per contrastare la riforma costituzionale votata dal centro-destra e sottoposta a referendum non avendo raggiunto il quorum parlamentare necessario ad un’approvazione diretta. In quei mesi l’ex Capo dello Stato, non distante dalla novantina, andò in tutte le piazze d’Italia a tutela dell’assetto parlamentare così come disegnato dalla Carta che lui stesso aveva votato nel lontano 1947. Alla prova referendaria il 61 per cento degli italiani bocciò lo stravolgimento delle istituzioni.
Questa battaglia vittoriosa, consacrò Scalfaro un po’ come icona vivente della difesa della Costituzione, momento fondante della nostra convivenza civile. Quale migliore parabola per un uomo che era approdato giovanissimo all’Assemblea costituente. Quell’elezione, nel collegio della Camera di Torino, Vercelli e Novara (la sua città natale), fu l’inizio di una carriera che lo vide più volte ministro: ai Trasporti (con Moro nel 1966), alla Pubblica Istruzione (con Andreotti nel 1972), agli Interni (con Craxi nel 1983). Politicamente rappresentò sempre l’ala destra della Dc, avversando sia il centro-sinistra che il compromesso storico. Nello scudo crociato intanto si trovò a porre sempre più l’accento sulla questione morale come snodo cruciale per una sorta di rifondazione del partito, rimanendo per lo più inascoltato, in un partito ormai privo degli slanci politici del passato.
Poi, nel 1992, dopo un rapido passaggio alla presidenza della Camera, giunse, a sorpresa, al Quirinale, divenendo uno dei migliori presidenti dell’Italia repubblicana. Un politico con un inarrivabile senso delle istituzioni. Un cattolico a tutto tondo impregnato di grande laicità. Un uomo di grande valore che ha portato molti giovani a conoscere ed amare la Costituzione repubblicana. C’è da essergliene davvero grati.
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